Acri è un comune calabrese della Provincia di Cosenza, posto ai piedi della Sila. Situato nella parte centro-settentrionale della Calabria, a pochi chilometri dal cuore della Sila Greca, il comune dista circa 40 km dal capoluogo di Provincia e 35 km dalla Piana di Sibari. Il termine “Acri” deriverebbe dal greco antico “akros”, che significa “sommità”. Acri registra una popolazione di circa 20.000 unità e il suo centro urbano si trova a un’altitudine di 720 metri. È uno dei comuni più vasti della regione perché si estende per oltre 20.000 ettari. Dalle parti più alte del paese, che dominano la Valle del Mucone e la Valle del Crati, è possibile osservare le cime del Monte Pollino. Il suo centro storico ha subito un progressivo processo di spopolamento, in favore della parte bassa e pianeggiante della città, dove si collocano le principali attività commerciali.

Dal punto di vista territoriale, Acri è un comune molto esteso e conta centinaia di frazioni. I fiumi principali che attraversano la città sono il Mucone e il Calamo, affluenti del Crati. La presenza delle foreste di castagni e di conifere fa sì che la città sia rinomata per la produzione di castagne e di funghi, di cui in ottobre si tiene un’importante mostra.

L’economia del territorio si basa principalmente sul settore primario, con la coltivazione di olivi, castagni, ciliegi, noci, viti, meli, peri, susini, grano, mais e patate, e l’allevamento dei suini: tipica caratteristica acrese è la produzione dei salumi di ogni genere. Il settore secondario si basa invece sulla presenza di attività artigianali e di imprese industriali di medie e piccole dimensioni.

Tra i luoghi d’interesse da visitare nel territorio si ricordano la Basilica di Sant’Angelo d’Acri, con annesso il Convento dei Padri Cappuccini, al cui interno si trova il Museo di Sant’Angelo, il Palazzo Sanseverino-Falcone, realizzato dai Principi di Bisignano nel XVII secolo, al cui interno si trova il Museo di Arte Contemporanea di Acri (MACA), il Monumento a Giovanni Battista Falcone, aristocratico acrese e patriota, protagonista nella fallimentare Spedizione di Sapri, e morto a Sanza, nella Provincia di Salerno, il 2 luglio 1857 insieme a Carlo Pisacane, e la Torre Civica, simbolo della città, unico pezzo restante di un’antica roccaforte costruita quasi sicuramente dai Bruzi per questioni difensive.

Acri, nel corso dei suoi anni, ha rappresentato un punto di snodo nella storia della Calabria e della Sila in particolare, visto l’alto tasso di braccianti agricoli che prestavano servizio nei terreni dei grandi latifondisti. Durante il fascismo nessuna politica di rinnovamento venne attuata, e il moto contadino dovette contare soltanto sulle proprie forze per uscire dal suo stato di subalternità.

La lotta per le terre dei contadini acresi si inquadra nella ben più ampia cornice della nostra regione, dove – soprattutto nelle zone della Sila – nascono dei movimenti contadini guidati dalla base che chiedono migliori condizioni di vita, grazie anche alla ripresa dell’attività politica democratica con la fine della dittatura[1].

Nel periodo di transizione della fine della seconda guerra, quando l’amministrazione dei comuni era affidata ai commissari prefettizi, pastori e contadini sfidano le autorità occupando i terreni demaniali nel bosco di Pietramorella, nella frazione di San Giacomo d’Acri.

Per quanto riguarda la questione dell’occupazione delle terre, essa rappresenta una costante della storia acrese, che inizia nel 1861 con l’Unità d’Italia e si conclude soltanto nel 1952, grazie all’operato del sindaco comunista Saverio Spezzano[2]. Le istituzioni locali non sanno arginare il fenomeno e decretano multe agli occupanti o tassi di affitto dei terreni. Gli occupatori però non si fermano, spinti anche dalle notizie che arrivano dal governo nazionale con l’attuazione dei decreti Gullo. Le risposte della politica nazionale vengono infatti affidate a Fausto Gullo, noto leader comunista calabrese, che con i suoi decreti del 1944 prevede l’assegnazione di terre incolte a enti o a cooperative di contadini organizzate in consorzi, tentando così di legittimare le occupazioni avvenute o in corso che riguardano circa 4000 ettari. L’obiettivo del ministro Gullo è quello di disinnescare lo spontaneismo del moto contadino sostituendolo con un’azione collettiva e organizzata. Tuttavia il processo va verso una normalizzazione dei fatti che a un profondo cambiamento[3].

Nei primi mesi del 1945 ad Acri, con l’aggravarsi della crisi economica e il ritorno dei reduci di guerra, molti contadini occupano, sotto l’organizzazione dei membri della sezione locale del Partito comunista italiano, le terre dei ricchi proprietari terrieri acresi nelle località di Là Mucone e della Sila. Queste occupazioni vengono compiute in maniera spontanea e generano contrasti nello stesso movimento contadino. Il commissario prefettizio Angelo Giannice, nel 1945, intraprende un’azione penale nei confronti di 28 occupatori abusivi nei terreni privati[4]. L’intervento delle autorità costringe i contadini ad abbandonare le terre dei latifondisti e a puntare sui terreni del demanio comunale, più facili da conquistare.

Con la fine della guerra proseguono comunque le occupazioni nei pressi del bosco demaniale di Pietramorella, nella località della frazione di San Giacomo d’Acri. Durante le proteste e le occupazioni dei contadini, accade un fatto increscioso: la notte del 20 aprile 1948, i Carabinieri si recano nelle abitazioni dei contadini responsabili delle occupazioni per procedere al loro arresto, ma molti si danno alla fuga, così una forza armata fa fuoco, ma, per errore, invece di colpire uno dei fuggitivi, colpisce la guardia campestre Antonio Ginese, ferendolo gravemente. I Carabinieri, per insabbiare il caso, ordinano all’unico testimone di tacere, minacciandolo, e accusano del tentato omicidio il contadino Francesco Caravetta, totalmente estraneo ai fatti. La verità viene a galla grazie all’intervento del sindaco; la difesa di Caravetta è assunta dall’avvocato Francesco Spezzano, appena eletto senatore[5].

Al termine di queste insurrezioni contadine nella cittadina acrese, il bosco di Pietramorella a poco a poco passa in mano agli occupanti che assumono piccole proprietà; secondo lo storico acrese Giuseppe Scaramuzzo, la perdita del bosco Pietramorella ha rappresentato un impoverimento per l’amministrazione comunale, perché ha perso l’occasione di fittare i terreni, o vendere i frutti del bosco (ricco di castagne) o di vendere il legname per recuperare denaro nei momenti in cui le casse del comune erano vuote. A livello regionale, le cose mutano profondamente negli anni successivi. Il moto contadino, che pecca di disorganizzazione, risulta mal guidato dai dirigenti locali comunisti, che spingono verso le occupazioni, senza ottenere grandi risultati. Nel momento in cui la Democrazia cristiana rompe il patto di governo con le forze politiche di Sinistra, i socialisti e i comunisti sentono, a questo punto, l’esigenza di passare al contrattacco, nella speranza di corrispondere alle esigenze della base contadina e di suscitare un contropotere che possa avere risvolti sul piano politico nazionale. L’evento tragico di Melissa dell’autunno del 1949 diventa il simbolo di questo scontro. A Melissa, comune del Crotonese, i contadini da giorni occupano il fondo demaniale chiamato “Fragalà”, chiedendo con forza il rispetto dei provvedimenti emanati dal ministro Gullo. Alcuni gruppi dirigenti calabresi della Democrazia cristiana, irritati da questa situazione, si recano a Roma per chiedere l’intervento della Polizia di Stato al ministro degli affari interni Mario Scelba. I reparti della Celere della Polizia di Stato giungono in Calabria e si posizionano presso i terreni occupati dai contadini. Le forze dell’ordine tentano di scacciare gli occupanti, ma vista la resistenza dei contadini, esse decidono di aprire il fuoco: muoiono tre giovani ragazzi, Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro, mentre rimangono ferite altre quindici persone. A tal punto anche la Democrazia cristiana comprende l’esigenza di realizzare una riforma agraria, che si attua però in termini ben diversi da quelli sperati, addirittura più arretrati rispetto agli obiettivi minimi dei gruppi riformatori dell’area governativa[6].

Alla fine di questo discorso, possiamo comprendere che le classi subalterne hanno provato a lottare per ottenere i propri diritti e migliori condizioni socio-economiche, ma che non hanno avuto il giusto sostegno da parte delle forze politiche locali e nazionali e che le leggi realizzate non hanno dato risposte adeguate alle loro esigenze.

Nicola Manfredi

[1] Cfr. G. Cingari, “Storia della Calabria dall’Unità a oggi”, Bari, Editori Laterza, 1982, p. 311.

[2] Cfr. G. Scaramuzzo, “Nascita di un comune democratico. Acri 1861-1952: storia, cronaca, memoria”, Rossano (CS), Grafosud, 2013, p. 568.

[3] Cfr. G. Cingari, cit., pp. 314-317.

[4] Cfr. G. Scaramuzzo, cit., p. 571.

[5] Ibidem, pp. 620-621.

[6] Cfr. G. Cingari, cit., Bari, Editori Laterza, 1982, pp. 330-338.