Se pensiamo alle Sirene, ci viene subito in mente l’immagine di splendide creature per metà umane e per metà pesci, capaci di ammaliare con il loro fascino. Possiamo trovare storie sul loro conto in qualsiasi ambito della narrativa, dalle favole per bambini ai poemi epici classici narrati di Omero. Ma come nasce il mito delle Sirene? L’origine delle leggende su queste creature fantastiche risale alla notte dei tempi. Poiché sono state tramandate e riscritte per millenni da autori diversi, è difficile individuare esattamente una data di nascita del mito. Non esistono fonti certe o testimonianze attendibili che possano darci conferme di una datazione, ma le tante testimonianze provenienti da culture molto diverse tra di loro ci fanno pensare ad un mito antichissimo, che ha da sempre affascinato e terrorizzato i navigatori.

Le prime testimonianze del mito

Nella mitologia greca si trova la prima notizia sulle Sirene: queste sarebbero figlie di Acheloo, divinità fluviale e quindi profondamente legata all’elemento dell’acqua. Secondo Apollonio Rodio Acheloo durante uno scontro cruento contro Eracle venne ferito, dalle gocce di sangue fuoriuscite dalla ferita nacquero le Sirene, chiamate Partenope, Leucosia e Ligea. L’aspetto originario delle Sirene non era però quello che conosciamo oggi. Sebbene si trattasse sempre di figure costituite dall’unione di due specie diverse, all’inizio non era presente la componente marina. Si trattava di creature per metà donna (dal busto in su) e per metà uccello (dal busto in giù) con una abilità fuori dal comune: la capacità di irretire le loro vittime con il canto.I poveri marinai, rapiti dalle melodie, perdevano il controllo dei loro vascelli e si scontravano sugli scogli davanti alle Sirene, che poi divoravano i corpi dei malcapitati. Omero nell’Odissea ci presenta Ulisse legato all’albero della nave per cercare di resistere alla loro magia. Secondo altre tradizioni, riprese dallo scrittore latino Igino, le Sirene gabbate da Ulisse si sarebbero uccise annegandosi nel mar Tirreno e le località di Napoli, Punta Licosa e Terina (l’antica Lamezia) ne avrebbero preso il nome. Anche nelle Argonautiche i compagni di Giasone sono quasi catturati dalle Sirene, fino a quando non impugna la cetra il mitico Orfeo, che con il suo canto risveglia dalla malia i suoi compagni. Certo tutte le popolazioni della Magna Grecia conoscevano il mito delle donne incantatrici, tanto che molte popolazioni marinare della Campania e della Calabria le veneravano, chiedendo loro di non incantarli e di farli tornare sani e salvi a casa.

Da donna – uccello a donna – pesce

A partire dal medioevo, la figura della Sirena assunse dei connotati completamente diversi da quelli greci. La figura spaventosa che vedeva una fanciulla con le zampe da uccello e le ali lasciò il posto ad una ragazza con la coda da pesce. Questa trasformazione avvenne anche a causa delle influenze della cultura e della mitologia celtica. Nei vari Bestiari che vennero pubblicati nel periodo medievale, le Sirene venivano descritte come creature marine che ammaliavano i marinai con il loro canto magico, dal corpo di fanciulla fino all’ombelico, e con la coda di pesce al posto delle gambe, code che queste nascondevano nei gorghi per non spaventare chi cercava di avvicinarle. È in questo periodo che la Sirena divenne simbolo di perversione, infatti si diceva a tutti i ragazzi di non farsi mai adescare da queste strane creature, perché queste avrebbero cercato di irretirli prima per seviziarli sessualmente e poi per divorarli.

Alcune leggende sulle Sirene

Ogni cultura ha naturalmente varie leggende sulle Sirene, per questioni di tempo qui citeremo solo alcune, le più particolari che hanno come protagonisti queste fantastiche creature alle prese con gli umani. In Cornovaglia le Sirene sembrano essere di casa, infatti una tra le più interessanti di queste storieracconta di un rapimento di un giovane. La leggenda della Sirena di Zennor inizia in maniera molto romantica, infatti si dice che una Sirena, dopo aver ascoltato il canto di un corista di nome Matthew Trewhella, si sarebbe recata nella locale chiesa per ascoltare meglio il canto del ragazzo. Secondo il racconto ogni domenica la Sirena si sedeva in fondo alla chiesa, incantata dalla sua bella voce. Un giorno, non più contenendo la sua infatuazione, lo portò al piccolo ruscello che scorre ancora attraverso il centro del paese e porta in mare a Cove Pendour nelle vicinanze. Matthew Trewhella non fu mai più visto. Nelle calde serate estive, si dice che si sentano i due amanti cantare felici insieme, malgrado il frastuono del mare. Le Sirene compaiono come protagoniste in una leggenda polacca, molto famosa nella zona di Cracovia. Due Sirene tra loro sorelle decisero di lasciare le loro tane del baltico, una si avventurò verso la Danimarca, l’altra invece cominciò a risalire la Vistola, dopo aver passato Danzica. Arrivata su una spiaggia sabbiosa il posto le piacque tanto da decidere di rimanerci. Qui la Sirena cominciò prima a dare fastidio ai pescatori, che trovavano le reti rotte e gli scafi delle barche bucati, e inoltre venne notata da un uomo d’affari, che volle rapirla per farla diventare il pesce più particolare del suo acquario. La Sirena venne catturata e segregata in una stanza senza acqua. Il suo canto richiamò un giovane che la salvò riportandola nel suo habitat naturale. La Sirena dopo aver ringraziato il suo salvatore gli promise che non si sarebbe mai dimenticata del suo coraggio, dicendo che se mai la città avesse avuto problemi lei sarebbe tornata per proteggerli, con tutto il mare al suo fianco.

La Sirena dell’Africa: il mito di Mami Wata

Lungo la costa dell’Africa che si affaccia sul Golfo di Guinea, tra Togo, Benin e Ghana, Mami Wata è considerata un “wodu” che vive nelle acque dell’oceano. È la Sirena, la stessa creatura che popolava i sogni di Ulisse e dei marinai del nord. Ma Mami Wata è nomade e la si può trovare in molti altri paesi africani, nei Carabi, in Brasile e anche in Europa. Molte sono le sue identità e notevole la sua capacità di metamorfosi e adattamento: regina delle acque, dea della fertilità, avida accumulatrice di denaro, vanitosa e dispettosa despota nei confronti dei suoi adepti, Sirena, incantatrice di serpenti, ammaliatrice, prostituta e amante gelosa. Mami Wata è “moderna”, straniera rispetto ai luoghi che la ospitano, viaggiatrice ed esotica, promessa di una felicità ineffabile ma sempre più seducente.
Mami Wata incorpora le ambiguità dell’essere umano e della società contemporanea, promessa di ricchezza e minaccia di morte. Secondo i suoi adepti, vive in una bellissima e futuribile città situata nel fondo del mare, ma accettare il suo invito ad abitare la città invisibile significa accettare di abbandonare la propria vita, la materia della propria esistenza e venire trascinati per sempre nei neri abissi dell’oceano. Firmare un patto con lei può assicurare il successo e la ricchezza ma il prezzo da pagare può essere molto elevato.
In ogni contesto Mami Wata assume significati differenti, soprattutto quando si integra nei sistemi e nelle pratiche religiose. Nella bassa Guinea, la cultura materiale che circonda il culto di Mami Wata è ricca e opulenta. Gli altari, gli affreschi, le decorazioni del corpo, gli abiti e le collane incorporano l’auspicata ricchezza e la necessaria bellezza, propria alla divinità. Le Mamissi (adepte di Mami Wata) periodicamente portano al mare le loro collane perché, bagnate nell’acqua, possano purificarsi e caricarsi spiritualmente. Il mare diventa quindi, in queste pratiche rituali, sorgente di potere rigenerante, di prosperità, di ricchezza e di benessere. Ma il mare è la casa di Mami Wata, come lei sa essere benigno ma anche maligno. Allora le immagini di morte che il mare evoca tornano nelle menti degli adepti di Mami Wata, che sanno bene come domarla e blandirla, offrendole offerte votive e cibi prelibati.

Il mito della Sirena nel mondo contemporaneo

In tante altre tradizioni si rintracciano personaggi che hanno similitudini con le Sirene, diversamente declinate e con caratteristiche più o meno pacifiche. Quel che permane, in ogni narrazione, tempo e cultura, è il concetto che esse richiamano, che giunge sino a noi: quello della doppiezza – che è anche nella loro coda – parte integrante del loro fascino misterioso da Dark Ladies; sono quasi due facce della stessa medaglia: una apollinea, l’altra dionisiaca. Le Sirene sono diventate porzione dell’immaginario collettivo, sono emblema sia del mare e della sua attrattiva ma anche della sua estrema pericolosità, sia della bellezza e, per estensione, del sesso: due elementi indicati come, allo stesso tempo, invoglianti e insidiosi. La sensualità è, del resto, punto fermo delle varie riproduzioni della Sirena: donne bellissime a seno nudo che ammaliano con il loro canto, chi non si sente attratto da un simile identikit?! La Sirena è evidentemente un archetipo femminile primordiale, calato in quella visione che contrapponeva uomini e donne; in ogni letteratura soprattutto europea è incarnazione di femmina che strega e seduce con la propria grazia e il dolce canto (come scrive Dante nel 19° canto del Purgatorio). Come ibrido, ricorda quanto la natura possa essere manipolata, manipolabile e infinitamente imprevedibile, così come possono essere infinite le sue sfaccettature: in quest’ottica, il suo significato recondito si apre ad accogliere riferimenti di genere. Senza dimenticare l’editoria, i fumetti e i film, che hanno fatto diventare la Sirena simbolo sensuale e misterioso, quasi del tutto liberato di quell’istinto omicida che l’aveva caratterizzata ai tempi della cultura greco- romana. La popolarizzazione somma del mito è celebrata nella città di Weeki Wachee, in Florida, ribattezzata, anche per i suoi spettacoli acquatici, “la città delle Sirene”, e diventa un po’ trash con l’apertura – vi prego di non prendermi per matto, è cosi – di un’accademia dove imparare a nuotare come…vere Sirene, con tanto di costumi con coda colorata ad inguainare le gambe. Nella cultura il mito della Sirena si esprime in molti modi ed è nelle arti visive che sembra dare il meglio di sé. Mai muta, poiché, come scrisse in un suo racconto Kafka, ciò che è più orribile da tollerare è proprio il silenzio della Sirena.

Giovanni Trotta