Messico 1970

La nona Coppa Rimet della storia del calcio si disputò nel giugno del 1970 in Messico, la prima volta che il grande Paese mesoamericano ospitava la competizione destinata alle squadre nazionali di calcio. Il Mondiale fu assegnato ufficialmente al Messico durante la conferenza della Fifa a Tokio dell’ottobre 1964, infatti la Federcalcio messicana batté la concorrenza dell’Argentina e si aggiudicò l’edizione, l’ultima che mise in palio la vecchia Coppa Rimet, che si giocava fin dal 1930. Come vedremo nel corso del racconto, la Coppa Rimet venne vinta definitivamente dal Brasile, che con la vittoria in Messico portò a 3 il bottino di coppe messe in bacheca, mentre Italia e Uruguay, che l’avevano vinta rispettivamente 2 volte a testa, rimasero con un pugno di mosche, infatti giunsero alla fine della competizione l’Italia seconda e l’Uruguay quarto. Fu un Mondiale segnato da grandi novità: innanzitutto fu uno dei primissimi Mondiali ad essere seguito in diretta e soprattutto a colori, grazie alla diffusione del satellite. Oltre a novità di carattere tecnologico, ci furono anche cambiamenti per ciò che riguarda i palloni utilizzati e il ruolo dell’arbitro. Per la prima volta, i palloni scuri lasciarono il posto a quelli con pentagoni neri e bianchi, che erano più facili da controllare e più leggeri rispetto ai precedenti. Il pallone in uso nel Mondiale messicano venne prodotto dalla Adidas e venne chiamato Telstar, che fece il paio con la mascotte Juanito, un pupazzetto che rappresentava un bambino con un enorme sombrero. Altre novità riguardarono gli arbitri: infatti dal Mondiale messicano cominciarono ad essere usati i cartellini gialli e rossi per segnalare i provvedimenti disciplinari (anche se bisogna dire che non vennero usati cartellini rossi) e venne concesso alle squadre di effettuare 2 sostituzioni che riguardavano però i giocatori di movimento e non più solo il portiere.

Squadre partecipanti e qualificazioni

Come detto prima, al Mondiale messicano si presentarono tutte le squadre che avevano vinto la Rimet: c’era l’Italia, l’Uruguay, la Germania Ovest, il Brasile e l’Inghilterra, oltre ad una serie di squadre che avevano mostrato il loro valore nei tornei continentali e nelle precedenti edizioni della Rimet. Il Mondiale messicano fu una “resa dei conti” tra scuole di calcio che si erano cristallizzate nel tempo: vi era quella mitteleuropea, con Germania e Inghilterra capofila, che facevano dell’organizzazione e della fisicità il loro tratto distintivo; c’era l’Italia e l’Uruguay, che avevano il punto di forza nella tattica, nella difesa ferrea e nel contropiede; in ultimo c’era il Brasile, la squadra dei funamboli, che fondava la sua forza sull’estro, la fantasia e la tecnica e aveva come massimo interprete il mitico Pelé, voglioso di lasciare il segno anche in terra messicana. Il Brasile, che aveva detto addio a Garrincha e ad altri fenomeni, ne aveva acquistati tanti altri probabilmente ancora più forti di quelli di prima, come per esempio la mortifera ala Jairzinho, che fece impazzire i terzini delle squadre avversarie. Outsider di lusso in tutto questo si rivelò l’Urss, che continuò a confermare quanto di buono aveva espresso negli anni precedenti. Tra le qualificate al Mondiale troviamo delle assolute novità, come la Romania, El Salvador, il Marocco e Israele, che si qualificò per la prima ed unica volta ad un Mondiale. L’Italia ovviamente, dopo una figuraccia come quella del 1966, guardava con grande attenzione alla competizione intercontinentale per rifarsi il look, soprattutto in confronto ad altre nazioni che in quel particolare momento storico sembravano messe molto meglio degli Azzurri. A dare speranze ai colori italiani c’era una nuova generazione di calciatori, non propriamente dei fenomeni ma degli ottimi calciatori, decisi a vendere cara la pelle e soprattutto allenati da un Maestro del Fútbol qual era Ferruccio Valcareggi, il triestino capace di vincere l’Europeo e di sfiorare la terza Rimet della storia per la nazionale italiana.

L’Andamento dei gironi

La formula del torneo non cambiò neanche in questa edizione, infatti le squadre ammesse alla fase finale furono 16, divise in 4 gironi da 4 squadre ciascuno: prime due ai quarti, ultime due a casa.

Nel primo girone vennero inserite il Messico padrone di casa, l’Urss, il Belgio e il neofita El Salvador. Nella prima giornata Urss e Messico pareggiarono 0 a 0, mentre il Belgio vinse 3 a 0 contro El Salvador con reti di Van Moer (x2) e di Lambert. Nella seconda giornata del girone il Messico vinse contro i colleghi di confederazione (la CONCACAF, la federazione calcistica che comprende Nord, Centro America e Caraibi) per 4 a 0, con doppietta di Valdivia e gol di Fragoso e Basaguren. I sovietici invece si sbarazzarono dei belgi con un sonoro 4 a1, con reti firmate da Asatyani, Khmelnitsky e Bysovec (x2), mentre per i belgi segnò Lambert. La terza e decisiva giornata del girone confermò il primo posto nel raggruppamento per l’Urss, che batté 2 a 0 El Salvador con doppietta di Bysovec; nell’altro scontro decisivo fu il Messico a sorpresa a spuntarla contro il Belgio, grazie al rigore decisivo di Peña. Alla fine delle 3 partite Urss e Messico arrivarono ai quarti, mentre ancora una volta il Belgio tornava a casa senza niente in mano.

Il secondo girone vide la presenza di Italia, Svezia, Israele ed Uruguay. Nella prima giornata del girone l’Uruguay ebbe ragione di Israele per 2 a 0, grazie alle reti di Mujica e Maneiro, l’Italia invece vinse di misura contro la Svezia con una rete di Domenghini. La seconda giornata l’Italia pareggiò 0 a 0 contro l’Uruguay, Israele e Svezia si divisero la posta con un 1 a 1 firmato Mordechai Spiegler per i mediorientali e Tom Turesson per gli svedesi. La terza giornata del girone la Svezia ottenne un’inutile vittoria contro gli uruguagi con gol decisivo di Grahn, l’Italia e Israele pareggiarono 0 a 0. L’Italia passò il turno da prima del girone con un solo gol fatto e nessuno subito, seconda passò l’Uruguay, che ritornava tra le grandi del calcio dopo qualche anno di assenza.

Il terzo girone venne formato da Brasile, Inghilterra, Cecoslovacchia e la sorprendente Romania. La prima giornata gli inglesi vinsero di misura contro i rumeni grazie al gol di Hurst, l’eroe del Mondiale inglese, il Brasile vinse 4 a 1 contro i cecoslovacchi con le reti di Pelé, Rivelino e Jairzinho (x2) e per i cecoslovacchi segnò Petras. La seconda giornata vide la vittoria del Brasile sugli inglesi per 1 a 0 con gol di Jairzinho, mentre la Romania vinse 2 a 1 contro la Cecoslovacchia grazie ai gol di Neagu e Dumitrache, il gol dell’onore cecoslovacco venne segnato da Petras. L’ultima giornata del girone vide la sofferta vittoria del Brasile sui rumeni per 3 a 2, autori dei gol per i brasiliani furono Pelé (x2) e Jairzinho, per i rumeni segnarono Dumitrache e Dembrovski. L’Inghilterra vinse 1 a 0 (rigore di Clarke) contro la Cecoslovacchia guadagnandosi il diritto di andare a quarti di finale, ovviamente dietro il Brasile. Da segnalare in questo girone la bella figura fatta dalla Romania, nazione che ha sempre prodotto grandi talenti ma che non ha mai vinto nessun trofeo di rilievo.

Nel quarto girone vennero inserite Germania Ovest, Perù, Bulgaria e Marocco. La prima giornata vide la vittoria della Germania Ovest per 2 a 1 contro il Marocco, reti di Seeler e Müller per i tedeschi, rete di Houmane per i marocchini. Il Perù vinse invece a sorpresa contro i bulgari per 3 a 2, gol di Chumpitaz, Gallardo e Cubillas per i peruviani, gol di Bonev e Dermendzhiev per i bulgari. La seconda giornata la Germania travolse i bulgari per 5 a 2 con reti di Libuda, Seeler e Müller (x3), mentre per i bulgari segnarono Nikodimov e Kolev. Il Perù per non essere da meno si sbarazzò 3 a 0 dei marocchini con gol di Challe e doppietta di Cubillas. La terza giornata, valida solo per designare la prima classificata del raggruppamento, vide la vittoria dei tedeschi sui peruviani per 3 a 1, alla tripletta di Gerd Müller rispose il gol della bandiera di Cubillas. Bulgaria e Marocco si divisero invece la posta, infatti pareggiarono 1 a 1 grazie alle reti di Ghazouani e Zhechev. Perù e Germania Ovest andarono ai quarti mostrando al mondo due bomber di razza, due grandissimi calciatori che ebbero entrambi grandi carriere come Gerd Müller e Teofilo Cubillas, considerato dagli addetti ai lavori come il più grande calciatore peruviano di tutti i tempi.

I quarti di finale

I quarti di finale iniziarono il 14 giugno e si tennero in contemporanea, tutti alle 12. La prima sfida vide contrapposte la Germania Ovest contro l’Inghilterra, rivincita della finale Mondiale di 4 anni prima. Questa volta a spuntarla furono i tedeschi ma non senza difficoltà: la Germania ebbe ragione dei sudditi di Sua Maestà soltanto dopo i supplementari. La partita terminò 3 a 2 grazie alle reti Beckenbauer, Seeler e Müller per i tedeschi, mentre per gli inglesi segnarono Mullery e Peters. Il secondo quarto mise di fronte il Brasile e il Perù, due squadre facenti parte della Confederazione Comnebol (la confederazione dell’America Latina). Il Brasile vinse 4 a 2 con reti di Rivelino, Tostão (x2) e Jairzinho, mentre per i peruviani segnarono Gallardo e Cubillas, che terminò il Mondiale con il notevole bottino di 5 reti in 4 partite. Il terzo quarto fu una battaglia tra Urss e Uruguay e a spuntarla ai supplementari furono gli uruguagi, che approfittarono di un errore della difesa sovietica per segnare il punto della vittoria, che porta la firma di Esparrago. L’ultimo quarto fu l’inedita sfida tra Messico e Italia. La sfida iniziò con il terrore per gli italiani, infatti dopo neanche dieci minuti segnò Gonzales. Gli italiani furono però bravissimi a rimetterla in sesto grazie all’autogol di Peña, la doppietta di Riva e il gol di Rivera, che fissarono il risultato finale sul 4 a 1 per l’Italia. Germania, Italia, Uruguay e Brasile si qualificarono per le semifinali, 3 di queste selezioni nazionali avevano vinto almeno 2 volte la Coppa Rimet.

La partita del secolo

Con questa locuzione si intende la semifinale del Mondiale messicano che andò di scena il 17 giugno del 1970 allo stadio Azteca di Città del Messico, di fronte ad oltre 102 mila spettatori tra Italia e Germania Ovest. I tedeschi arrivarono alla semifinale con uno stato d’animo sicuramente migliore degli italiani: gli azzurri avevano sì vinto e nettamente contro i padroni di casa, ma vi erano ancora tante cose che non giravano nella nazionale italiana, non ultima la famosa “staffetta” tra Mazzola e Rivera, che alimenterà feroci polemiche anche in futuro. La Germania aveva invece vinto contro gli inglesi, prendendosi la rivincita dopo la finale persa 4 anni prima con tutto il corollario di polemiche di cui abbiamo parlato nel precedente articolo. Al netto comunque di queste considerazioni preliminari possiamo tornare al campo: la partita venne affidata al fischietto messicano Alfredo Yamasaki, arbitro che in realtà era nato in Perù da famiglia giapponese, arbitro di grande esperienza e dal carattere molto forte. L’inizio partita fu fantastico per gli Azzurri, che dopo appena 8’ di gioco segnarono con un gran tiro di Roberto Boninsegna, centravanti dell’Inter. Dopo il comprensibile momento di shock, i tedeschi cominciarono a macinare gioco ed occasioni da gol, mentre l’Italia si arroccò a difesa dei propri 16 metri, senza quasi mai riuscire a ripartire. Albertosi si confermò essere un grande portiere, al pari del suo collega tedesco Sepp Maier, e dove non riuscì ad arrivare il portiere ci pensò prima la traversa su Overath e poi Rosato con un prodigio, quando riuscì a respingere sulla linea di porta la conclusione a botta sicura di Uwe Seeler. La partita sembrava ormai finita, soprattutto dopo che Albertosi aveva disinnescato due occasioni di Müller e Seeler, ma al 92’ fu il terzino del Milan, Karl-Heinz Schnellinger, a trovare la via del pareggio deviando in spaccata un cross di Grabovsky. Non senza polemica si arrivò dunque ai supplementari con due squadre stremate ma con un morale ben diverso: gli italiani erano comprensibilmente depressi e frustrati dopo il pareggio tedesco, mentre Beckenbauer e compagni erano gasatissimi dopo aver impattato una partita che sembrava ormai compromessa. Al 4’ del primo tempo supplementare Müller approfittò di un’indecisione tra Poletti e Albertosi per deviare leggermente il pallone e spingerlo in porta: 2 a 1 per i tedeschi e Azzurri disperati. Dopo quattro minuti, il centrale di difesa italiano Tarcisio Burgnich, colonna dell’Inter, colse l’occasione di battere Maier grazie ad una corta respinta di Held: 2 a 2 e partita rimessa in pari. A questo punto l’Italia cominciò a spingere sull’acceleratore, fin quando Domenghini, dopo una sgroppata sulla fascia, mise al centro per Riva. Rombo di tuono controllò il pallone, si liberò del suo diretto marcatore con una finta di corpo e scoccò un perfetto diagonale, sul quale Maier non poté fare nulla: 3 a 2 per l’Italia e tifosi azzurri in delirio. Dopo un minuto di pausa ricominciò la sfida, che si aprì con una serie di occasioni per i tedeschi sventate da Albertosi. Su un calcio d’angolo Seeler riuscì a vincere il duello aereo con Facchetti, facendo da torre per Muller, il quale deviò il pallone quel tanto che basta per farlo terminare in fondo alla rete. Albertosi fu quasi sul punto di prendere a ceffoni Rivera, colpevole di non aver calcolato le distanze e di aver fatto entrare la palla in rete sotto i suoi occhi. A questo punto sembrò davvero approssimarsi il sorteggio della monetina, come era accaduto durante gli Europei del ’68, ma a togliere il popolo italiano da questa situazione incresciosa fu proprio Rivera, che capitalizzò al meglio una discesa sulla fascia di Boninsegna, concludendo con un bel piattone da centro area il cross dell’attaccante nerazzurro: 4 a 3 e partita finita (finalmente!). Antonio Ghirelli, grande giornalista italiano, disse che milioni di italiani si erano andati a coricare dopo la rete di Schnellinger, arrabbiati e sconsolati, ma le urla di altri milioni di connazionali decisi a sfidare sonno e lavoro li convinsero a seguire tutta la partita e a riversarsi in strada quando Yamasaki pose fine alle ostilità. Una targa voluta dall’intero popolo di Città del Messico eternò questa partita, emblema di quanto lo sport e in questo caso il calcio sia capace di far gettare agli uomini il cuore oltre l’ostacolo, di raggiungere obiettivi che solo a pensarci sembrano impossibili da ottenere.

La semifinale tutta sudamericana e la finale per il 3° posto

 La seconda semifinale si giocò a Guadalajara in contemporanea con la sfida dell’Azteca e vide di fronte Uruguay e Brasile, 4 Mondiali per 2 squadre. L’Uruguay passò in vantaggio dopo appena 19’ grazie alla rete di Cubilla, ma i Brasile riuscì a rimettere in sesto la partita grazie alla rete del centrocampista Clodoaldo, compagno di reparto di Gerson. Al 76’ fu Jairzinho a portare in vantaggio la Seleçao, capitalizzando al meglio una bellissima azione di Pelé. A un minuto dalla fine fu Rivelino a chiudere la contesa con un gran sinistro da fuori area e a fissare il risultato sul 3 a 1 finale. La sfida tra le perdenti delle semifinali, Uruguay e Germania Ovest, venne giocata il 20 giugno alle ore 16 nello stesso stadio della partita del secolo e a prevalere furono i tedeschi per 1 a 0, grazie alla rete segnata da Overath, il quale si confermò come uno dei migliori centrocampisti del torneo.

La finale       

Il 21 giugno del 1970, allo stadio Azteca di Città del Messico, andò in scena l’atto finale del Mondiale messicano, di fronte a quasi 108 mila spettatori. L’Italia arrivò alla finale stremata dallo sforzo fisico profuso per piegare i tedeschi nella semifinale giocata 4 giorni prima. Il Brasile invece arrivò al giorno fatidico molto meno stanco degli Azzurri, malgrado la grande partita disputata dagli Uruguagi, che probabilmente se non avessero incontrati i verdeoro avrebbero sicuramente sfidato gli Azzurri in finale. A dirigere l’incontro venne designato il fischietto tedesco Rudolf Glöckner, tedesco della DDR (Germania Orientale). Prima dell’inizio si verificò un fatto strano: durante l’esecuzione degli inni vennero issate le bandiere delle due finaliste, la nazione ospitante e quella relativa alla nazionalità dell’arbitro, ma durante il momento solenne venne issata non già la bandiera della Repubblica Democratica Tedesca, ma bensì quella della Germania Ovest, il che scatenò le proteste del direttore di gara. Eppure, malgrado la composta ma risoluta protesta dell’arbitro, la bandiera non si trovò. Per tornare al campo, il Brasile cominciò fin dall’inizio della partita a macinare gioco, fino a trovare il vantaggio con Pelé, che sovrastò Burgnich sullo stacco di testa e batté l’incolpevole Albertosi. Dopo qualche minuto di tensione, gli Azzurri si riorganizzarono e trovarono la rete del pareggio grazie a Boninsegna, bravissimo ad approfittare della superbia di Brito e Piazza, i due difensori brasiliani che cercarono di irridere le punte italiane. Si andò al riposo sull’1 a 1, con gli Azzurri in fiducia e il Brasile che vedeva i fantasmi del Maracanazo. Iniziò il secondo tempo senza cambi, neanche la famosa staffetta, infatti rimase Mazzola in campo almeno fino al 85’. Si arrivò al 66’, quando dopo una palla persa a centrocampo dagli italiani Gerson si impossessò della sfera, si liberò della marcatura di Bertini e lasciò partire un bolide potentissimo, che terminò la sua corsa alle spalle di Albertosi: 2 a 1 e Brasile in vantaggio. Dopo neanche 5’ fu Jairzinho a segnare, tramutando in gol un passaggio fantastico di Pelé. Grande soddisfazione per l’ala brasiliana che segnò la settima rete nella competizione, secondo soltanto ad un alieno come Gerd Muller. La rete finale venne segnata dal terzino e capitano verdeoro Carlos Alberto, grandissimo giocatore e prototipo del terzino moderno, capace di abbinare grande corsa, forza fisica e tecnica sopraffina. Il trofeo se lo portò a casa il Brasile e questa volta in maniera definitiva, visto che questa era la terza volta che il Brasile vinceva la Coppa Rimet. I giocatori italiani invece vennero accolti all’aeroporto di Fiumicino con un’ovazione e un “grazie ragazzi”, Valcareggi e Mandelli, rispettivamente CT e secondo dell’allenatore, vennero fischiati e presi a pomodori a causa delle scelte, a detta degli appassionati italiani, poco felici. Si concluse così la nona edizione della Coppa Rimet, con la gloria e i pomodori, costanti della nostra cultura.

Un Mondiale di stelle

Si chiudeva con la finale tra Brasile e Italia la storia della coppa Rimet, che nel 1974 venne rimpiazzata da un’altra coppa. Il Mondiale 1970 verrà ricordato come uno tra i più spettacolari e quello con la più alta concentrazione di classe tra i calciatori che calcarono i campi del Messico. Basti pensare che anche il piccolo Perù, nazione con una grande passione per il calcio ma che non aveva mai espresso fino a quel momento dei veri e propri talenti, fece conoscere all’ecumene del Fútbol un grande campione come Teofilo Cubillas, capace di segnare ben 5 gol in appena 4 partite e presente in ben 3 Mondiali (1970, 1978 e 1982). L’Italia aveva Mazzola, Riva, Rivera, Albertosi; la Germania Beckenbauer, Muller, Seeler, Libuda e Overath, una vera e propria cooperativa del calcio, esponenti di un modo di giocare che fece tantissimi proseliti, soprattutto in terre teutoniche. E poi c’erano loro, i funamboli brasiliani, gli artefici del “Fútbol Bailado”, coloro che sembravano danzare la Capoeira piuttosto che giocare a pallone. Per quanto non fosse più il Brasile tutto istinto degli anni ’50, la Seleçao dimostrò di essere in grado di mixare elementi propri del calcio europeo (difesa solida e possesso palla), con i tratti distintivi del Fútbol brasileiro, fatto di dribbling, tiri a foglia morta e passaggi quasi a sfidare le leggi della fisica. Il Mondiale messicano sarà l’ultimo di Pelé e bisognerà aspettare il ’94 per vedere i Verdeoro sul tetto del mondo, ma queste sono altre storie e se avrete la pazienza di aspettarmi sarò ben felice di raccontarvele.

Giovanni Trotta