Un ricordo sempre vivo, che si rinnova annualmente.

Nel rituale della Settimana Santa, dove ogni Chiesa, Casa di Dio, si prepara e si adorna a svolgere il Sacro Lutto.

Nel lavoro diligente delle mani delle donne, impegnate a cambiare tutti gli allestimenti dell’altare, ecco comparire questi vasi, composizioni di strane piante, stupore e curiosità per i bambini ignari del fulcro del Mistero della Fede.

Sumburcu, termine dialettale, traduzione di: sepolcro, con il quale si identificano vasi di terracotta pieni di germogli di cereali e legumi, dal colore giallo paglierino, scarni di clorofilla, la morte per le funzioni metaboliche di una pianta, obbligati all’oscurità, si mostrano sull’altare, vivi, simbolo della rinascita e della resurrezione.

<<…In questo contesto si comprende l’abbaglio popolare della resposizione eucaristica, vissuta come “sepolcro”, o camera ardente con esposizione della salma in cui si succedono le visite e le veglie. I vasi di cereali o legumi fatti germogliare al buio e posti nei “sepolcri” ricordano “i giardini di Adone” posti sulla tomba del dio morto….>>1

Nel bizzarro procedimento di preparazione si identifica il fenomeno dell’eziolatura dovuto alla poca illuminazione alla quale la pianta risponde allungandosi, quasi a stravolgere la morfologia stessa per cercare la luce.

Incantesimi antichi che muovono i suoi passi nella notte dei tempi in un legame insolubile tra l’uomo e la vegetazione, che, come lo stesso, si è protratto nel tempo con le modifiche del caso, ma mantenendosi vivo.

Questi rituali erano rivolti al dio della vegetazione e venivano praticati in Europa, nel bacino del Mediterraneo e in Oriente.

Erano rituali di propiziazione in un periodo ben preciso dell’anno, tra l’inverno e la primavera, per incoraggiare la crescita della vegetazione.

Bisogna immaginare il tutto in un contesto dove nella natura, più precisamente nella vegetazione si identificava un dio prosperoso che risorgeva ogni anno dal riposo invernale.

Un momento di fondamentale importanza, vissuto con meraviglia che è riuscito nei secoli a vivere nel tempo, e a trasportarsi in culti ed usanze.

Ecco nascere così, nell’antica Grecia, i giardini dedicati al dio Adone, rituali rivolti al dio simbolo della vegetazione e alla sua originale natura.

<<Questi riti di passaggio primaverile sono affiliati alle cerimonie che nell’antica Grecia si svolgevano in onore di Adone e a ricordo del mito agrario di morte e resurrezione di Demetra, la Terra Madre, che perde la figlia Kore, rapita dal sottosuolo e annualmente rediviva in primavera.2>>

<<Erano questi delle ceste e dei vasi pieni di terra, in cui si seminavano grano, orzo, lattuga, finocchi e varie specie di fiori e che per otto giorni venivano curati specialmente o esclusivamente da donne. Il calore del sole faceva rapidamente germinare queste piante, ma poiché non avevano radici, appassivano rapidamente, e, al termine di otto giorni, venivano portate via con le statuette del morto Adone e gettate con esse in mare o nelle sorgenti. Questi giardini di Adone si possono interpretare assai naturalmente come rappresentanti di Adone o manifestazioni del suo potere.3>>

La tradizione del Santu Sumburcu si mantiene viva in Calabria come simbolo di sopravvivenza e rinascita, culto e manifesto della connessione tra la morte e la vita che ciclicamente si rinnova e si riprende Per il parsimonioso culto del dio Adone presso la civiltà Greca, queste celebrazioni si identificarono con il nome del dio.

Rituali che si trasportano nel tempo, sposano culture e tradizioni, così U’ Sumburcu come i giardini di Adone, rievocano la morte e resurrezione del dio, che, come è facile pensare, rendono analoga la celebrazione pasquale del Cristo morto e quella del dio Adone.

Francesco Marino – Erborista, Cultore dell’Etnobotanica

per maggiori informazioni visita il sito: https://www.benessererboristico.it/

1 cfr. C. Bernardi, La drammaturgia della settimana santa in Italia, 1991 – Vita e Pensiero – Largo A. Gemelli, 1 – 20123 Milano, V,p.463-464

2 cfr. A. M. di Nola, alla voce “Giardini di Adone”, Enciclopedia delle Religioni, Firenze, Vallecchi, 1972, V, p. 789-790.

3 cfr.Frazer, J. G. 1973. Il ramo d’oro. Torino: Boringhieri, V,p. 533.