La vittoria della Nigeria alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 fu una magnifica storia, uno di quegli eventi che il calcio regala di rado ai suoi appassionati ma che dimostra quanto sappia essere unico e imprevedibile questo sport. La Nigeria Under 23, guidata dal C.T. olandese Johannes Bonfrère, uomo dalla grandissima esperienza e innamorato del calcio africano, era una squadra fortissima fisicamente e completamente votata all’attacco. L’undici nigeriano era così composto: a difendere i pali c’era Joseph Dosu, un ragazzo alto ed allampanato, ma ottimo portiere. Questo giovane atleta fu vittima di una sciagura poco dopo la conquista dell’oro olimpico, quando in un incidente stradale rimase paralizzato a vita, a soli ventitré anni e mentre era tesserato con la Reggiana in Serie A. La linea difensiva nigeriana era un misto di qualità e forza bruta: era formata da Celestine Babayaro, terzino sinistro all’epoca in forza all’Anderlecht, Taribo West, il famoso giocatore con le treccine che due anni dopo si sarebbe accasato all’Inter di Gigi Simoni, Uche Okechukwu, difensore fuori quota, militante nel Fenerbahce e Mobi Oparaku, meno noto ma anche egli molto affidabile. A centrocampo l’unico uomo di rottura incaricato di far legna era Sunday Oliseh, un ragazzo che aveva già debuttato nel calcio italiano, avendo trascorso un anno a Reggio Emilia con la Reggiana e che tre anni più tardi avrebbe disputato una stagione anche alla Juventus. Gli altri tre centrocampisti erano Babangida, il fantasista JayJay Okocha, considerato uno dei dribblatori più efficaci di sempre e Victor Ikpeba. Questa catena di centrocampisti, di quantità e di qualità superba, componeva la linea della trequarti a supporto della coppia d’attacco composta da Daniel Owefin Amokachi e Nwankwo Kanu, di gran lunga il giocatore più esperto in rosa (e quindi, il capitano), con una Champions League già presente nel suo palmares. Soprannominato “Il re delle finte”, Kanu nel 1997 fu operato a causa di una malformazione cardiaca che gli impedì di esprimersi al meglio con la casacca nerazzurra.

Il cammino fino alla semifinale

Nel girone D la Nigeria si trovò in compagnia dell’Ungheria, del Giappone di Hidetoshi Nakata e del Brasile di Rivaldo, Bebeto, Roberto Carlos e Ronaldo, il Fenomeno. Il 21 luglio la Nigeria sconfisse 1 a 0 l’Ungheria grazie alla marcatura di Kanu. La seconda partita la Nigeria vinse 2 a 0 contro il Giappone con le reti di Babangida e Okocha. Nella terza partita la Nigeria venne sconfitta dal Brasile per 1 a 0 grazie al gol di un giovanissimo Ronaldo, che dietro la maglia aveva scritto “Ronaldinho”, per non confonderlo con l’omonimo e più grande compagno di squadra Ronaldo Guiaro, un difensore. Gli uomini allenati da Bonfrère acciuffarono l’accesso ai quarti per la prima volta nella loro storia, ma solo grazie alla differenza reti a svantaggio del Giappone che fu costretto a riprendere un aereo e ritornare in patria, nonostante avesse ottenuto gli stessi punti dei nigeriani. Ai quarti di finale l’avversario della Nigeria fu il Messico. La nazionale centramericana fu regolata con un secco 2-0, firmato Okocha e Babayaro, che fece esplodere l’ormai incontenibile entusiasmo di un popolo intero già inebriato dall’aria di impresa, pensando all’avversario che avrebbero trovato in semifinale.

Ancora il Brasile?”

Secondo la vulgata comune pare siano state queste le parole di Mister Bonfrère quando gli comunicarono l’avversario che i suoi ragazzi avrebbero affrontato in semifinale. Tutti lo sapevano, forse il Mister si sarà distratto o l’avrà fatto apposta, non si sa. Sappiamo solo che la semifinale con il super Brasile di Paulo Ferreira fu un rocambolesco e clamoroso 4 a 3 per i nigeriani. Per primo passò in vantaggio il Brasile con il gol di Flavio Conçeiçao, ripreso dopo pochi minuti dalla Nigeria grazie all’autorete di Roberto Carlos. Il Brasile andò al riposo in vantaggio di due gol grazie ad un altro gol di Conçeiçao e a quello di Bebeto. Nel secondo tempo la Nigeria riuscì a rimettere in piedi la partita in virtù delle reti realizzate da Ikpeba e Kanu. Supplementari dunque e con la terribile regola del Golden Gol, strumento di tortura inventato dalla Fifa nel ’93 e che tanti dispiaceri ha dato a noi italiani. L’incontro venne deciso dal secondo gol di Nwankwo Kanu al quarto minuto del primo tempo supplementare. Nell’altra semifinale una delle favorite per la conquista della medaglia d’oro, l’Argentina guidata dal C.T. Passarella, si era sbarazzata del Portogallo con facilità grazie alla doppietta del Valdanito Hernan Crespo. La finale del torneo di calcio delle Olimpiadi di Atlanta ’96 fu quindi tra l’Albiceleste e la sorprendente Nigeria che nel frattempo aveva conquistato le simpatie di tutti.

La finale

Sabato 3 agosto 1996. Il giorno della finale al Sanford Stadium di Athens in Georgia erano presenti più di 86.000 persone. L’Argentina di Passarella si presentò in campo con un 4-3-3 composto da Pablo Cavallero in porta, Chamot, Ayala, Zanetti e Sensini in difesa (tutti militanti e titolari nell’ultimo campionato di Serie A); Almeyda, Morales e Bassedas a centrocampo, Cláudio Lopez, Crespo e Ortega in attacco. Una squadra formidabile, forte in tutti i reparti e con un attacco atomico. Bonfrère presentò in campo il suo dream team, avendo tutti disponibili e vogliosi di lasciare il segno. Le cose però si misero subito male per i nigeriani: Cláudio Lopez con un’incornata di testa concluse alla perfezione la prima offensiva albiceleste, portando il risultato sull’1-0. Fortunatamente per i nigeriani al 28’ Celestine Babayaro fu il protagonista del gol del pareggio nigeriano, anch’egli con una conclusione di testa su un corner sovrastando nello stacco Sensini e Ayala, non proprio gli ultimi arrivati. Al termine dei primi quarantacinque minuti di gioco il risultato era fermo sull’1-1. Il secondo tempo iniziò seguendo lo stesso copione del primo: partì forte l’Argentina con Ortega che, ben servito da Cláudio Lopez, entrò in area di rigore e sentì un impercettibile tocco del braccio di Taribo West, lasciandosi cadere a terra. Per l’arbitro Pierluigi Collina non ci furono dubbi: calcio di rigore. Crespo realizzò perfettamente dal dischetto mostrando estrema freddezza e salendo a quota sei reti in quella competizione, dove si laureò capocannoniere del torneo. Tuttavia, l’Argentina proprio nel momento in cui avrebbe dovuto mantenere alta la concentrazione per tenere al sicuro il risultato e conquistare la medaglia d’oro si rilassò. La Nigeria, dopo aver incassato il colpo, rialzò in fretta la testa e attaccò negli ultimi minuti con ferocia. Al minuto 74’ dalla rimessa laterale di Babayaro la palla entrò nell’area di rigore albiceleste. Kanu la spizzò di testa al centro, Wilson Oruma svirgolò clamorosamente a due passi dalla porta di Cavallero, ma la palla finì tra i piedi di Amokachi che con un pallonetto delizioso fece gonfiare la rete e il petto degli africani che ritornarono in parità: 2-2. L’Argentina era una nave in balìa della tempesta, la Nigeria continuò a farsi pericolosa. Allo scadere, Javier Zanetti fermò in modo irregolare l’avanzata sulla fascia di Amunike: venne quindi fischiato un calcio di punizione nei pressi dell’angolo dell’area di rigore sudamericana. Wilson Oruma calciò la punizione, la confusionaria difesa argentina tentò di alzare la propria linea per mandare in fuorigioco i nigeriani, ma lo fece in modo disordinato fallendo clamorosamente (fu Nestor Sensini a tenere in gioco tutti). La palla finì tra i piedi del neoentrato Amunike, proprio il giocatore che aveva causato il calcio di rigore si trovò completamente solo davanti a Cavallero. Si trattò di un calcio di rigore in movimento e il numero sei non sbagliò: 3-2. La gioia dei nigeriani esplose e fu incontenibile.

L’impresa delle Super Aquile

Alle 17:43 (orario statunitense) Pierluigi Collina fischiò per tre volte e quei tre semplici soffi nel fischietto scrissero una pagina di storia: si trattava della prima medaglia d’oro di una squadra di calcio africana ad una Olimpiade. Si trattò di un’impresa che sulla scia delle belle figure del Camerun a Italia ’90 e proprio della Nigeria a USA ’94, diede nuova linfa ad un calcio africano pronto a competere con i piani alti del calcio mondiale. Purtroppo per loro fu solo un’illusione viste le mancate conferme negli anni successivi. Quella sera però le aquile presero il volo, come mai avevano fatto nella loro storia. Si godettero il panorama mozzafiato dal tetto del mondo: la Nigeria, un Paese che di solito si sente nominare per fame, carestie, violenze tribali e interreligiose, mise in riga tutte le nazionali più forti del Pianeta. Regolò in semifinale e in finale Brasile e Argentina, due selezioni infarcite di talenti che poi avremmo visto anche in Italia o comunque nei campionati che contano. La vittoria della Nigeria alle Olimpiadi di Atlanta fu una di quelle esperienze che vale la pena vivere anche solo una volta nella vita e che ogni tanto è bene ricordare e celebrare, perché queste nazionali il posto nel cuore se lo prendono da sole e da lì riemergono qualche volta per ricordarci che il calcio non è solo un gioco: Non può esserlo se una palla che rotola in un prato verde ti fa battere il cuore e per un attimo ti fa dimenticare di avere un fantastiliardo di problemi per la testa.

Giovanni Trotta