La memoria è un seme da coltivare, curare e annaffiare. Ogni virgulto necessita del proprio tempo prima di manifestarsi al mondo. Esso attraverso le radici andrà alla ricerca di sostanze nutritive che lo renderanno nel tempo una pianta verde e rigogliosa, capace di resistere alle intemperie e generare intorno a sé terreno fertile per nuovi germogli. Pasquale Cavallaro attraverso le sue parole “getta un seme alla memoria” che viene consegnato ai posteri in qualità di un memoriale lapidario su ciò che è stato e non dovrà mai più essere. La sua storia è un flusso di accadimenti atroci, di vicende angoscianti, che ricordano la resistenza di un uomo del Mezzogiorno che spera, sogna, di poter far ritorno un giorno a casa. La sua testimonianza per diventare albero e smuovere le coscienze intorno a sé, ha bisogno di essere raccontata e tramandata. Alla stessa stregua del lavoro che il virgulto compie con le sue radici per prendere vita, forma, senza temere il buio del sottosuolo, spetta ai cittadini evitare che esperienze del genere finiscano nel pozzo scuro del dimenticatoio ma far sì che diventino luce e punto di riferimento per le generazioni presenti e future.

Cavallaro nacque a Sersale comunità situata nell’entroterra calabrese e morì a Petronà paesino ai piedi dell’altopiano silano. La chiamata alle armi arrivò nell’agosto del 1943 all’età di 19 anni. Percorse numerose strade prima di raggiungere il Veneto e arruolarsi in uno dei reparti della Cavalleria Verona. In seguito, venne trasferito a Voghera. Il giorno prima della resa pubblica dell’armistizio stipulato fra le forze italiane e gli Alleati nella notte tra l’8 e il 9 settembre del 1943, Cavallaro venne arrestato dalle forze di occupazione naziste e deportato in Germania nel Campo di internamento di Bremervörde. Costruito tra le città di Brema e Amburgo risultava essere tra i principali campi nazisti destinato al lavoro forzato. Il viaggio che lo portò verso il nord Europa durò quattro giorni. Giunti all’ingresso del campo, i tedeschi separarono gli uomini dalle donne, molti dei quali ripartirono poco dopo destinati ai campi di concentramento. I prigionieri IMI (internati militari italiani) contrassegnati dalla sigla in lingua tedesca “Italienische Militär-Internierte” vennero utilizzati per conseguire duri lavori all’interno delle fabbriche in tutta la Germania: «Dopo sette o otto giorni dal nostro arrivo (nel campo), alcuni tedeschi ci condussero dentro una fabbrica… all’interno vi erano 160 soldati italiani. Da lì ci trasferirono nei pressi di una ferrovia per aggiustarla». Nella maggior parte dei casi, il trasferimento dei prigionieri avveniva nel corso della mattinata percorrendo a piedi decine di chilometri prima di raggiungere la fabbrica designata. Il numero delle quantità di cibo era ridotto al minimo: un solo pasto ogni 24 ore. Cavallaro conseguì diverse mansioni, tra cui una in particolare, ovvero svolse l’incarico di saldatore per la “Dolce Verde” un cantiere navale dove venivano prodotti sottomarini tedeschi. Tra il 1944 e il 1945 gli ennesimi spostamenti da una fabbrica all’altra.

Al rientro la sera, i prigionieri venivano divisi in numero cospicuo dentro le baracche. Le condizioni igienico-sanitarie si mostrarono molto precarie manifestando la proliferazione di pulci, pidocchi e malattie.

Agli occhi del giovane Pasquale si palesarono i corpi denutriti dei detenuti, i maltrattamenti nel campo, la morte dei compagni, i bombardamenti degli Alleati in area tedesca, gli scontri tra gli anglo-americani e i soldati della Wermacht lungo il fronte occidentale e il rumore assordante dei proiettili delle mitragliatrici. Fu grazie all’aiuto dei soldati inglesi che iniziò il viaggio di ritorno verso casa: dal 5 febbraio 1945 calpestò il suolo petronese il 13 settembre dello stesso anno. Pasquale Cavallaro non si dichiarò mai un fascista ma un uomo dai sani principi e figlio di un mondo subalterno.

Molti degli ex internati IMI scelsero la via del silenzio sconvolti dall’esperienza vissuta all’interno dei campi. Altri decisero di raccontarsi molti anni dopo.

In occasione del Giorno della Memoria vogliamo ricordare i prigionieri IMI deportati nei campi nazisti in Germania.

27 gennaio 2024

Pietro Marchio