A noi italiani la Corea non porta bene, non hai mai portato bene, almeno calcisticamente parlando. Che sia Nord o Sud, che sia l’Olimpiade di Seul a noi gira sempre male. Ma questa volta la sconfitta rimediata non è colpa della Corea o di un arbitro dalla forma fisica discutibile. In questo caso la Corea è solo il luogo dove si materializza la debacle italiana, una sconfitta talmente clamorosa che fece il giro del mondo, che costò la panchina a Francesco Rocca, commissario tecnico della Nazionale Olimpica. La sconfitta contro lo Zambia viene raccontata con un filo di vergogna da chi l’ha vissuta in prima persona, ma fa parte di quelle pagine di sport che, per quanto dolorose, sono entrate a buon diritto nella leggenda.

L’avventura dell’Italia all’Olimpiade

L’Italia Olimpica che partecipa al torneo di calcio dell’Olimpiade del 1988 è una nazionale non fortissima, ma con buonissimi giocatori, come per esempio Ferrara, Virdis, Carnevale, Tacconi in porta, insomma non proprio i primi venuti. Come commissario tecnico c’era Francesco Rocca, ex giocatore della Roma e subentrato a Zoff, che aveva accettato la corte della Juventus. L’Italia è inserita in un gruppo oggettivamente facile, infatti come avversari ci sono Guatemala, Iraq e lo Zambia, ma si sa, con l’Italia non c’è mai da star tranquilli. La prima partita contro il modesto Guatemala è un successone, finisce 5 a 2 per i ragazzi di Rocca, tutti contenti tranne i fautori del difensivismo italiano, i quali recriminano per i due gol concessi ai modesti guatemaltechi. Evidentemente nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo tre giorni dopo.

L’avversario dell’Italia

Lo Zambia è un Paese dell’Africa centro meridionale, colonia britannica fino al 1964 e che prima si chiamava Rhodesia del Nord, in onore di Cecil Rhodes, grande magnate dell’industria mineraria ed esploratore inglese. Lo Zambia è famoso per le cascate Vittoria, chiamate così in onore della regina Vittoria da David Livingstone, celebre missionario scozzese. Dal momento dell’indipendenza la giovane nazione africana cominciò a muovere i primi passi nello sport e soprattutto nel calcio, ma i risultati furono deludenti. La nazionale zambiana, soprannominata dai loro tifosi Chipolopolo, che significa “proiettili di rame”, infatti non si è mai qualificata per i Mondiali, ed anche nel torneo continentale africano, la bellissima e pittoresca Coppa d’Africa, la prima qualificazione arriva solo nel 1974. Solo dal 1980 in poi la nazionale zambiana comincia a crescere e ad inanellare risultati importanti, come il terzo posto nella Coppa d’Africa del 1982e la qualificazione al torneo Olimpico di Seul dell’88. A trascinare la compagine africana ci sono un gruppo di giocatori giovani e molto carismatici, e alcuni di loro finiranno per giocare anche in Europa, come i fortissimi fratelli Joel e Kalusha Bwalya, e l’altro Bwalya, Johnson (questi non aveva nessuna parentela con i fratelli sopracitati),che faranno vedere i sorci verdi al povero Tacconi.

La vergogna di Kwangju

Fa caldo il 19 settembre a Kwangju, un caldo che sembra foriero di cattive notizie. L’Italia si schiera con una formazione un po’ strana, ma c’è fiducia nell’aria, cosa mai potrebbe succedere contro undici ragazzi africani vestiti come operai dell’Anas?! Eppure fin da subito la nazionale di Rocca appare passiva, quasi ferma, con il povero Tacconi costretto a mettere una pezza agli attacchi degli africani. Al minuto 40’ Bwalya regala il primo gol allo Zambia, che supera Tacconi in uscita. Al minuto 55’ Bwalya con una punizione malefica uccella il portiere della nazionale italiana, che sfoga la sua rabbia contro i pali della porta. Al 63’ la nazionale zambiana cala il tris con il gol da lontano di Johnson Bwalya, fratello di Kalusha. Al 90’ Kalusha Bwalya cala il poker, sotto gli occhi esterrefatti di cronisti e giornalisti. Lo Zambia vince 4 a 0, l’Italia è sotto shock e Azeglio Vicini, tecnico della nazionale maggiore, viene invitato ad affiancare Rocca, ritenuto responsabile del disastro. Malgrado la sconfitta umiliante, l’Italia supera nel terzo incontro della fase a gironi l’Iraq per 2 a 0, e ai quarti di finale vincono per 2 a 1 contro la Svezia. In semifinale l’Italia viene sconfitta dall’Urss per 3 a 2, mentre nella finalina per il terzo posto viene sconfitta per 3 a 0 dalla Germania Occidentale, altra grande delusa del torneo Olimpico. Lo Zambia passa per prima il girone, ma la sua corsa si fermerà ai quarti, infatti verrà ridimensionata da un secco 4 a 0 da parte della Germania Ovest. 

La tragica fine dei ragazzi zambiani

La selezione zambiana continua a fare buoni risultati, ma non riesce a qualificarsi per il Mondiale del ’90 disputatosi in Italia. Nel 1993 accade qualcosa che nessuno poteva prevedere, una cosa ancora più assurda della loro vittoria contro l’Italia. Il 23 aprile di quell’anno i ragazzi dello Zambia partono da Libreville, la capitale del Gabon, su un Buffalo DHC-5D, direzione Dakar, in Senegal. Qui avrebbero dovuto giocare contro la nazionale senegalese una partita valida per le qualificazioni al Mondiale americano. Sull’aereo ci sono 18 giocatori e 12 tra membri dello staff e medici della squadra. Purtroppo per loro quel cargo non arriverà mai a Dakar, infatti si inabissa nelle acque al largo del Gabon, a causa di un’avaria dei motori, trascinando con sé tutti i passeggeri. Tra gli eroi di Seul, periscono il portiere e capitano David Chabala, il secondo portiere Richard Mwanza, i difensori EdmondMumba, Derby Makinka, Peter Mwanza, i centrocampisti Wisdom Chansa ed Eston Mulenga. Sopravvivono alla tragedia, in maniera incredibilmente fortunata, Kalusha Bwalya, il fratello Joel, Johnson Bwalya e Charles Musonda. I sopravvissuti giocavano già da anni in Europa (Kalusha Bwalya per esempio militava nel PSV di Eindhoven, mentre Johnson tra le fila del Lucerna, in Svizzera) ed avrebbero dovuto raggiungere i compagni di nazionale a Dakar. Ma una volta arrivati lì, dei compagni non c’era traccia. Si conclude in maniera tragica l’epopea di una squadra che tante simpatie aveva attirato in Europa, le stesse che qualche anno prima aveva saputo attrarre la selezione camerunense dei Leoni indomabili, guidati dal fortissimo portiere Thomas N’Kono e dal bomber Roger Milla. Ma il destino ha in serbo un piccolo risarcimento per i tifosi dei Chipolopolo, un avvenimento che ha tutta l’aria di un premio per questa nazione sfortunata.

La Coppa d’Africa del 2012

Nel gennaio del 2012, 16 nazioni africane si contendono la Coppa continentale in Guinea Equatoriale e in Gabon. La nazionale dello Zambia si ritrova in un girone abbastanza complicato con Libia, Guinea Equatoriale e Senegal. Lo Zambia supera brillantemente il gruppo eliminatorio e si qualifica testa di serie, eliminando il quotatissimo Senegal. Ai quarti di finale i Chipolopolo si sbarazzano per 3 a 0 del Sudan e in semifinale compiono un vero e proprio prodigio: riescono a vincere 1 a 0 contro il Ghana, che insieme al Senegal e alla Costa d’Avorio doveva essere una delle papabili vincitrici. In finale la nazionale zambiana affronta la Costa d’Avorio, guidati dal centrocampista Yaya Touré e da Gervinho e Drogba, due attaccanti da venti gol all’anno. Dopo 120’ di gioco conclusi sullo 0 a 0 (unica partita terminata a reti bianche di tutta la manifestazione), si va alla lotteria dei rigori. Al nono rigore, Gervinho fallisce, mentre Sunzu, difensore che all’epoca militava con i congolesi del Mazembe, non sbaglia, regalando allo Zambia così la vittoria della Coppa d’Africa per la prima volta nella loro storia. Una vittoria che sembra essere un risarcimento per le sofferenze patite dai calciatori zambiani scomparsi nel disastro aereo del 1993. La Coppa infatti lo Zambia la vincerà propria in Gabon, dove avvenne l’incidente, e inoltre per decidere il vincitore vennero calciati diciotto rigori, proprio come il numero dei giocatori morti nel disastro. Nessuno sa cosa ci aspetta alla fine dei nostri giorni, non sappiamo se esiste un Paradiso, un Inferno, o tanti Inferni o semplicemente il buio, ma è bello pensare che sopra le nuvole, aldilà del cielo e delle sfere celesti, i diciotto giocatori scomparsi dello Zambia si siano stretti in un grande abbraccio e abbiano festeggiato per questa vittoria, tanto attesa e tanto desiderata da un’intera nazione.

Giovanni Trotta