Spesso associamo a una parola un significato che non le appartiene, confondendone quindi anche il concetto di ciò che esprime. È il caso della sottile differenza che si cela dietro alle seguenti parole: folklore e scienza, cultura e natura, conoscenza e ignoranza. Tanti ritengono, erroneamente, che il contrario di ignoranza sia la cultura, o che il folklore sia da considerare qualcosa che è da stupidi perché ad esso non corrispondono dei dati provati. Niente di più sbagliato.

Negli studi di antropologia, ogni cosa che si sa, che si sente, è messa in correlazione con tutte le sfere che appartengono all’uomo come società e come individuo. A questo punto bisogna dare il giusto valore alle parole che abbiamo indicato precedentemente: Il folklore è ciò che appartiene alla tradizione popolare, la scienza è un sistema di conoscenza ottenute tramite una ricerca sostenuta da dati raccolti con metodo e rigore, con cultura si intende tutto ciò dove ha agito la razionalità dell’uomo, la natura è invece l’assenza di controllo dell’uomo su un determinato fatto, per conoscenza si intende tutto ciò che si sa di qualcosa mentre l’ignoranza è ciò di cui non si conosce.

Le persone si sentono distanti dal folklore perché lo avvertono come qualcosa che non corrisponde più al vero, che è arcaico, semplice e trapassato, ma il folklore ha una sua collocazione nelle dinamiche sociali dei rapporti sociali – è Gramsci a darci questa definizione – per cui per secoli il ruolo del folklore è stato al centro della società perché le conoscenze non erano appannaggio di tutti e non si avevano gli strumenti di oggi.

Questo è accaduto anche in medicina, dove le conoscenze erano limitate e non tutti potevano ricorrere agli specialisti del settore. La maggior parte della popolazione faceva quindi ricorso alle esperienze e ai prodotti che aveva a disposizione per ottenere una cura ai propri malanni: si utilizzavano erbe, unguenti, decotti. Le credenze popolari generavano dei ricorsi a “maghi”, esperti del settore che per racimolare qualche soldo si prodigavano nella cura delle persone.

Con l’avvento del Positivismo e della Seconda Rivoluzione Industriale, quando ci fu uno spostamento massiccio delle persone dalle campagne alle città, si capì che c’era bisogno di centri specializzati per la cura delle persone, quindi nacquero gli ospedali. In Calabria però il processo di industrializzazione fu quasi nullo, per cui il progresso in campo medico fece vedere i suoi effetti soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Da “La medicina popolare in Calabria”, di G. Abbruzzo e M. Conocchia, Edizioni Alimena – Orizzonti Meridionali 2019.

Nicola Manfredi

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