Nella storia degli uomini tante volte si è fantasticato di regni lontani, di tesori sfavillanti ed irraggiungibili, di uomini dalle forme strane e addirittura mostruose. Ma la leggenda di cui parliamo oggi è ancora più particolare, perché di questo leggendario re si conoscevano sia il nome che il regno, ma non l’ubicazione precisa, che ogni volta sembrava messa in discussione. La leggenda del Prete Gianni, un re – sacerdote cristiano in una terra misteriosa, circondata da nemici ma fieramente schierato con i suoi fratelli d’occidente, ebbe un grande seguito in tutta Europa, almeno fin quando gli uomini non riuscirono a spingersi lontano e a rendersi conto che quello a cui avevano creduto non era altro che un sogno.

La genesi della leggenda

Non sappiamo con precisione la genesi esatta della leggenda di questo re e sacerdote, ma da quello che abbiamo a nostra disposizione sappiamo che le gesta del Prete Gianni presero piede dall’opera di proselitismo compiuta dall’apostolo Tommaso in India. Questi resoconti, pubblicati negli atti di Tommaso nel III secolo, furono con tutta probabilità i prodromi della leggenda. Altri studiosi ritennero di individuare in nuce i temi della leggenda nei resoconti sulla predicazione dei Nestoriani presso i popoli dell’Asia. Lo storico Grousset parlò della straordinaria opera di conversione operata tra i mongoli e i turchi delle steppe dell’Asia centrale, infatti per alcuni secoli i sovrani di questi popoli usarono i nomi cristiani, creando involontariamente il substrato per la nascita della leggenda del Prete Gianni. Alcuni ancora confusero la figura del Prete Gianni con quella di Giovanni il Presbitero, anch’egli un personaggio leggendario citato nelle opere di Eusebio di Cesarea, che a sua volta aveva letto queste notizie nelle opere di alcuni Padri della Chiesa. Non si sa quale di queste sia stata l’anticipazione della leggenda, è comunque chiaro come siano stati questi racconti geografici, velati di leggenda e mistero, a “cristallizzare” la figura del Prete Gianni, fino a renderlo quasi un personaggio vivo e vegeto, a cui addirittura rivolgersi per avere aiuto nella lotta contro i nemici di Cristo.

Cenni storici sull’epopea del Prete Gianni

Secondo le notizie raccolte nel libro di Jacqueline Pirenne, già nella prima metà del XII secolo cominciò a circolare una leggenda, tra l’altro ribadita da Odone, abate di San Remy a Reims, che parlava della venuta di un re sacerdote a Roma, dove avrebbe parlato con il papa Callisto II dei suoi favolosi possedimenti e delle sue incredibili ricchezze. Questo re fu identificato con un sovrano proveniente dalle terre aldilà l’Armenia e la Siria, discendente dei re Magi e regnante su una sterminata popolazione, tutta convertita al cristianesimo di tipo Nestoriano. Sempre secondo la Pirenne, il nome “Gianni” deriverebbe da Vizan, figlio del re dell’India, Mazdai, che per opera dell’apostolo si era convertito al cristianesimo, divenendo Vizan-Gian. E presso i nestoriani la formula “prete Gianni” passò poi a designare i successori di Vizan-Gian come capo spirituale e temporale dei “cristiani di san Tommaso”.

La lettera del Prete Gianni

Nel 1165, una strana missiva arrivò sullo scrittoio di Manuele I Comneno, imperatore di Costantinopoli. Manuele girò immediatamente la lettera al papa Alessandro III e a Federico Barbarossa: la lettera era firmata da un certo Giovanni, re delle tre Indie e presbitero. I due sovrani non diedero grande peso alla missiva, che con un linguaggio ampolloso faceva riferimento ai suoi infiniti possedimenti e allo sterminato numero di sudditi. Nella lettera inoltre il presbitero Giovanni diceva di non avere solo uomini come suoi sudditi, ma centauri, minotauri, sciapodi (uomini che strisciavano sulla schiena e si facevano ombra con un unico, gigantesco piede), blemmi (uomini senza testa che avevano il volto nel petto), folletti e ciclopi. Tutto la descrizione del suo regno non era altro che una sintesi dei racconti fantasiosi di viaggiatori e scrittori dell’antichità. Alessandro III rispose al Prete Gianni, ma solo come atto di cortesia e per ricordargli che la sua fede cristiana di tipo nestoriano era contraria all’ortodossia cattolica, infatti i seguaci di Nestorio vennero dichiarati eretici dal concilio di Efeso del 431. Quasi vent’anni dopo, l’abate Ottone del monastero di San Biagio nella Foresta Nera, riferì che durante il suo viaggio a seguito della seconda Crociata parlò con un chierico siriano, che aveva conosciuto un regno cristiano, ricchissimo e potentissimo, che aveva riconquistato la famosa città di Ecbatana contro i turchi. Marco Polo, l’autore del Milione, scrisse di un grande re, chiamato Gianni, il quale comandava un esercito sterminato e un regno pressocché infinito. Questo re, dopo aver regnato sui Tartari, venne sconfitto da Gengis Khan, che così poté liberare il suo popolo dal giogo del Prete Gianni. Dopo questo racconto, per quasi un secolo nessuno parlò più del Prete Gianni, ma la leggenda si mantenne viva e ritornò ancora in Inghilterra e poi in tutta Europa.

Il ritorno del Prete Gianni

Nel XIV secolo un viaggiatore inglese di nome John Mandeville dichiarò di aver visitato il regno del Prete Gianni, ma lasciò capire che la reale ubicazione di questo regno favoloso fosse in Africa, e più precisamente presso i Negus d’Etiopia. Nel secolo successivo, il re portoghese Giovanni II mandò ambasciatori prima in Egitto e poi in Abissinia, dove stando alle ultime novità si trovava il regno del Prete Gianni. Quando finalmente gli ambasciatori portoghesi giunsero in Etiopia trovarono un grande regno, ma non il famoso presbitero che si aspettavano. Per quando i Negus respinsero questo titolo, i portoghesi continuarono per tanto tempo a chiamare l’Etiopia “la terra del Prete Gianni”. Per tutto il XVII e XVIII secolo, l’Etiopia venne identificata con la mitica terra del Presbitero Giovanni, malgrado il re della città di Gondar, la famosissima Camelot africana, avesse detto ai visitatori europei che nessun Negus si era mai fatto chiamare “Presbitero Giovanni”, ma tutt’al più Johannes, nome tra l’altro di molti imperatori abissini.

La leggenda del Prete Gianni in età contemporanea

Nell’Ottocento e nel Novecento la leggenda del Prete Gianni perse rapidamente credito, anzi venne bollata da tutti come una panzana, buona per i bambini e gli ingenui. Altri studiosi però, alla luce di quello che avevano letto sui resoconti di viaggio dei grandi autori dell’antichità, cercarono di capire quale potesse essere l’ubicazione del regno del Prete Gianni, o meglio, perché tale regno fosse stato localizzato da una parte piuttosto che un’altra. Negli anni ’20, un giornalista di un giornale cattolico americano, propose come sede del regno del Prete Gianni il Tibet, e come Presbitero ovviamente il Dalai Lama. Altri studiosi invece, basandosi sull’opera di proselitismo compiuta dai nestoriani dell’India, cercarono di localizzare la terra del Prete Gianni nelle remote regioni della Cina e del Siam, dove per molti secoli venne praticata questa particolare ed eretica forma di cristianesimo. Il missionario più importante di questi fu probabilmente il siriano Alopen, che nel VII secolo si spinse fino in Cina a predicare, ottenendo dall’imperatore cinese il permesso di costruire chiese e monasteri e di tradurre i testi sacri in mandarino. Gli ultimi studiosi che hanno cercato di capire chi fosse il Prete Gianni hanno trovato una strana similitudine con una tribù cinese, i Kara Khitay, che formarono un impero molto esteso dopo aver sconfitto sia i cinesi che i tatari. Il fondatore dell’impero, Yeliutashi, era un cristiano nestoriano e quasi tutti i suoi sudditi erano cristiani. Dopo la morte il suo impero venne inglobato dai mongoli di Gengis Khan, ma non sappiamo per quanto tempo ancora venne praticato il Nestorianesimo. L’ultimo in ordine di tempo ad interessarsi al Prete Gianni fu l’esoterista francese René Guenon, il quale cercò di spiegare la leggenda del Prete Gianni facendola derivare dalle leggende buddhiste sul re del mondo, che altri non sarebbe che una personificazione (un avatar) di Vishnù, il quale scende sulla Terra in particolari momenti per portare gli uomini sul sentiero della verità e della purezza spirituale.

Funzione del mito del Prete Gianni

Dopo aver tracciato le linee storiche della leggenda ed averne visto i caratteri peculiari, possiamo provare a rispondere alla domanda fondamentale: perché è nata la leggenda del Prete Gianni? A cosa serve un mito del genere? Si può dire che un mito del genere serviva a tutta la comunità cristiana, che tanto si sentiva minacciata dall’avvento delle milizie islamiche. La speranza che anche in terre lontane, selvagge ed inesplorate ci fossero dei fedeli cristiani, guidati da un re che era anche un sacerdote, serviva a rendere meno angosciante l’attesa di queste orde musulmane. La famosa lettera, con cui per la prima volta si conobbe la figura del Prete Gianni, recava la notizia di una vittoria del Presbitero contro i turchi e contro Gengis Khan, quindi serviva anche a rincuorare i cristiani: se c’era riuscito un re sacerdote di una terra sperduta in oriente, che verosimilmente aveva affrontato eserciti di mostri e guerrieri subumani, allora potevano sconfiggerli anche gli europei, che vivevano nel mondo civile governato da Dio e dalle leggi. Questa leggenda che favoleggiava di un impero di cui per secoli non si trovarono riscontri concreti, lascia un’intrigante eredità letteraria, che ha coniugato molte leggende e poca storia, in un tempo in cui gli stessi viaggiatori come Marco Polo avevano immense difficoltà a cogliere la natura profonda dei contesti che visitavano o di cui sentivano parlare. Le difficoltà poi crescevano quando si dovevano distinguere le vere storie dalle tante favole di cui l’uomo ha sempre avuto bisogno per rappresentarsi la migliore realizzazione dei propri desiderata, o per il gusto di ipotizzare eccelse bellezze per sublimare la proprie miserie, o per catturare il consenso dei sudditi o per emendare, in qualche modo, le cose inconfessabili o semplicemente irrealizzate del proprio presente. Il Prete Gianni in questo contesto rappresenta l’ideale del grande re cristiano, ricchissimo e devoto, un ideale a cui praticamente tutti i re del medioevo e non solo hanno anelato inutilmente, vinti com’erano dalla real politik e dalle proprie convinzioni, non proprio sante ad onor del vero…

Giovanni Trotta