Hidetoshi Nakata fu un buon calciatore o solo un fenomeno folkloristico che per qualche assurda ragione si trovò a giocare in Italia? È uno dei tanti misteri che fanno di Hidetoshi Nakata uno dei giocatori più incomprensibili del calcio moderno. Interviste rare, molte leggende, pochissime certezze: tra queste, il fatto che sia stato un giocatore di qualità. Non è stato un bluff alla Kazuyosi Miura, che pure in Giappone era considerato un dio del pallone prima dell’apparizione di Hidetoshi. Sicuramente al di là delle perplessità iniziali, Nakata fu un affarone per i presidenti italiani che sborsarono cifre non proprio esigue per assicurarsene il talento. Maradona disse di lui che se tutti i giapponesi avesse ro cominciato a giocare così per le grandi potenze del Fútbol sarebbero stati guai seri, e Diego di calcio ne capiva abbastanza. È stato un ottimo giocatore: non si debutta nel campionato italiano rifilando due gol alla Juventus se si è brocchi. Nakata passerà alla storia come la prima stella mondiale del calcio giapponese e questo non è poco nella terra del sumo e del baseball.

Un campione di sacrificio e dedizione

La carriera del giovane Nakata iniziò con lo spirito di sacrificio tipicamente nipponico. Come ebbe modo di raccontare lui stesso in varie interviste: “Cominciai a giocare a pallone all’età di nove anni. Fu la scuola a indirizzarmi su questa strada. Eravamo molti ragazzini e un solo campo. Così, ci toccava fare i turni. Mi capitò di giocare anche all’alba, alle cinque o alle sei del mattino”. La prima cosa che ci viene in mente è a questo punto: bisogna credergli? Trattandosi di un giapponese si può, stiamo parlando di un popolo che quando perdeva l’onore si apriva la pancia con una spada, figuriamoci se a spaventarlo era una partita alle prime luci dell’alba. Il primo club professionistico a credere nel giovane Nakata fu il Bellmare Hiratsuka: 4 stagioni, 84 presenze nella Japan League e 16 gol. Il Bellmare è una provinciale, forse anche per questo lui è riuscito a crescere in fretta. A diciannove anni fu arruolato nella nazionale olimpica, mai in passato un giapponese under 20 aveva avuto l’onore di giocare nel torneo di monsieur De Coubertin.

Un pragmatico al servizio del Fútbol

Leggendo le sue interviste è facile capire quanto il ragazzo avesse la testa sulle spalle fin dalla più giovane età: “A diciannove anni mi ritrovai di fronte il classico bivio: università o pallone. Scelsi il pallone. Avessi proseguito gli studi, avrei optato per una facoltà scientifica. Con i numeri non ho mai avuto problemi». Un pragmatico a tutto tondo: forse anche per questo la sua vera passione, a parte i vestiti griffati, è Internet. Qualcuno lo ha definito calciatore-cybernauta: definizione azzeccata. Mentre la sua carriera continuava a svolgersi in una squadra modesta, solo in nazionale le sue doti potevano essere sublimate. Infatti le prime attenzioni nei suoi riguardi ci furono alla fine del 1997, quando il Giappone si qualificò per i Mondiali francesi. Poco dopo, uno dei tanti inutili tornei si rivelò invece, per lui, essenziale. In quegli anni venne organizzata la Dynasty Cup: in campo Giappone, Corea del Sud, Cina e Hong Kong. Un trafiletto del Guerin Sportivo fece conoscere agli italiani la classe di questo ragazzo, eletto miglior giocatore del torneo, tanto da auspicare che qualche club italiano mettesse mano al portafoglio per portare nel Bel Paese questo nuovo talento del calcio mondiale. Bisogna dire che il Guerin Sportivo ci azzeccò in pieno, perché la previsione si rivelò giusta. Il 1998 fu il grande anno per Nakata. Le prime attenzioni dei media internazionali, i primi contatti con i club europei, il Mondiale – dove, invero, non lasciò il segno. All’improvviso apparve il Perugia. Un lontanissimo parente, il club umbro, del Bellmare ma con una differenza sostanziale: gioca nel campionato più difficile e più seguito del mondo.

L’Avventura in Italia

Dopo una lunghissima trattativa, fatta di clausole cavillose e comprensibili solo per un commercialista con un dottorato in macroeconomia asiatica, Hidetoshi Nakata sbarcò finalmente nella verde Umbria, alla corte di un presidente vulcanico ma innamorato del Fútbol, capace di scatti d’ira furiosi e di gesti di grande generosità e fair play: Luciano Gaucci. Per l’allenatore del Perugia, Ilario Castagner, Hidetoshi fu una piacevole scoperta: tra i due si creò subito un grande feeling e non solo sul campo, ma anche umanamente. Per la società, cioè per la famiglia Gaucci e per l’Umbria fu anche un bel business perché la regione venne inserita nei pacchetti dei tour operator. Da quando Nakata arrivò a Perugia, le legioni disciplinatissime dei turisti nipponici si ritrovarono nei loro circuiti, dopo la visita al Colosseo, la giornata ai Musei vaticani, il giro di Firenze e la mattinata in gondola nei canali di Venezia, anche Perugia, lo stadio “Renato Curi” e una foto con Nakata. Un successone. L’Italia non fu una novità assoluta per Nakata. Nel gennaio 1996 fece uno stage a Torino, in casa della Juve. Hidetoshi all’epoca aveva solo 19 anni e il ricordo più vivido di quell’esperienza fu il freddo opprimente della città torinese. Visse intensamente quell’esperienza e conobbe Del Piero, Zidane, Peruzzi e ovviamente Lippi, che lo incitò a dare il massimo anche nelle difficoltà. Probabilmente fu qui che maturò la decisione di accettare la corte del Perugia: se voleva fare davvero il giocatore, doveva misurarsi con i migliori. Gaucci intanto cominciò a vedere i primi benefici economici dell’operazione, mentre i tifosi cominciarono ad ammirare questo ragazzo silenzioso per i gol fatti in campionato, alcuni da vero fuoriclasse capace di ammutolire anche i tifosi avversari. Arrivò la salvezza e Hidetoshi venne confermato da Gaucci, che però trovò al ritorno dalle vacanze non più Castagner ma Carletto Mazzone. In un primo momento i due non si capirono ma poi si trovarono, malgrado le differenze tra due uomini agli antipodi l’uno dall’altro. Ma Nakata non rimase a lungo a Perugia: infatti ben presto si fece sotto la Roma. Franco Sensi volle a tutti i costi il giapponese ed allestì un vero e proprio squadrone, allenato da uno dei più forti allenatori italiani, il friulano Fabio Capello. A gennaio sbarcò il primo giapponese a vestire la maglia della squadra giallorossa. Con la Roma conquistò uno scudetto inseguito per anni da Sensi con la stessa costanza con cui Indiana Jones inseguì il tempio maledetto, ma questo non bastò a confermarlo alla corte di Capello. Cominciò un lungo peregrinare tra Parma, Bologna e Fiorentina, fino all’ultima stagione disputata a Bolton, condita da 20 partite e solo 1 gol.

La carriera di Nakata in Nazionale

Nakata cominciò da giovanissimo ad essere convocato nelle nazionali giovanili, ma le prime partite degne di nota le giocò con la nazionale Olimpica giapponese. Il Giappone uscì al primo turno ma già lì alcuni cominciarono a guardare con interesse alle prestazioni del giovane Hidetoshi. Grazie poi alle ottime prove fornite con il Bellmare, cominciò ad essere convocato con regolarità e divenne un perno del centrocampo nipponico. Nakata fece molto bene durante le qualificazioni per il Mondiale francese del 1998, ma il Giappone non andò oltre il primo turno perdendo tutte le partite del girone, persino quella contro la modesta Giamaica. Partecipò al torneo olimpico di Sidney nel 2000, realizzando un gol contro la Slovacchia nei gironi ma sbagliando il rigore decisivo nel match contro gli USA ai quarti di finale. Prese parte ai Mondiali di Corea del Sud e Giappone, segnando un gol nella partita vinta 2 a 0 contro la Tunisia. Purtroppo il Giappone venne eliminato agli ottavi di finale dalla sorprendente Turchia che addirittura arrivò terza. Nel 2006 partecipò all’ultima rassegna iridata della sua carriera ma anche questa volta non lasciò il segno, infatti il Giappone abbandonò il Mondiale al primo turno con un solo punto e la miseria di due gol fatti. Alla fine di questa competizione Nakata decise di abbandonare la nazionale e il calcio giocato, a soli 29 anni e senza grossi problemi fisici, o meglio non di tale gravità da giustificare un ritiro così precoce.

Un uomo vero in un calcio finto

Alla fine del Mondiale 2006, Nakata annunciò al mondo del Fútbol la sua decisione di lasciare il campo a soli 29 anni. Nakata, prima di congedarsi da questo grande circo chiamato calcio professionistico, lasciò una lettera aperta per spiegare le ragioni del suo addio: “Sono passati più di 20 anni da quando cominciai il mio viaggio chiamato calcio. Non c’è stato nessun episodio né un motivo in particolare che mi ha portato a prendere questa decisione. Semplicemente sentivo che era arrivato il momento di staccarmi da questo viaggio chiamato calcio professionistico e volevo cominciare un altro viaggio che mi porti a scoprire un nuovo mondo. Tutto qui”. Appese le scarpe al muro, salutato dirigenti e compagni di squadra, prese uno zaino e si gettò in una dimensione completamente diversa e indubbiamente più soddisfacente e distesa, trasformandosi quasi in un giornalista freelance alla scoperta del mondo. Nel 2008 cominciò un lungo viaggio che lo portò a visitare il Sudest asiatico, la Cina e l’America Latina, armato solo di una macchina fotografica e con la curiosità propria di un uomo intelligente e rispettoso. Visitò campi profughi, luoghi religiosi e grandi metropoli, fin quando non arrivò ad una grande verità, la stessa che ci ripetiamo ogni volta che vediamo i bambini che soffrono nelle zone meno fortunate del mondo: “Se avessimo tutti la volontà di viaggiare e aprire le nostre menti, ci accorgeremmo di quanto sono inutili i pregiudizi e dannoso il razzismo”. Un sentimento proprio di un uomo che ha amato il calcio, ma ha sempre lasciato aperta la porta della comprensione, della conoscenza e della curiosità. Forse proprio vedendo tante volte le frivolezze che circondano il mondo del calcio un ragazzo del genere ci appare così diverso, quasi non umano, ma in realtà il più umano di tutti. E poi, forse la cosa più importante di tutti, delle volte ci dimentichiamo dei gol che era capace di fare, chiedere a Van Der Saar e agli amici juventini per conferma…

Giovanni Trotta