Patate e fichi d’india

Curiosi di conoscere parte dell’attività agricola e commerciale sul territorio petronese nel periodo post-bellico, otteniamo alcune delucidazioni a riguardo da parte di Anna Talarico. Zia Annina conosce bene Petronà, i suoi luoghi e le sue tradizioni. Ama il suo paese e fin da bambina instaura un meraviglioso rapporto con la natura che la circonda: «Avevo tredici o al massimo quattordici anni, mia madre e mio papà andavano sempre a Menulata (località nel comune di Petronà), in quanto avevano un pezzo di terreno dove piantavamo le patate. Si tagliava la felce, mentre mio padre fhacia li surchi[1] , dopo si gettava la felce dentro il solco appena scavato (per poter piantare il tubero) per poi ricoprirlo nuovamente di terra. Le patate che si raccoglievano da quel terreno erano buonissime. Poi arrivava gente da Andali e Belcastro, con gli asini e li ruvaci chini e fhicundiane[2] e si procedeva in questo modo: un paniere (in dialetto panaru) di patate ogni due panieri di fichi d’india»[3].

Senza luce

«Non vi era luce elettrica, si accendevano i cerini conficcati nel terriccio dei vasi e si facevano le lampade con l’olio: al di sotto si metteva dell’acqua, sopra restava l’olio e poi il cerino. Oppure c’era chi aveva qualche candela per farsi un po’ di luce. Dopo un po’ di tempo arrivò la luce elettrica, la si chiamava luce a forfè, non c’erano frigoriferi e nemmeno lavatrice. Per lavare qualcosa si andava fino al fiume Nasari oppure si andava allu mulinu subbranu[4]»[5].

“A Lissia”

«Per ottenere a lissia si metteva a bollire la cenere, si poneva la roba all’interno di una cesta ccu lu vucataru[6], poi si gettava sopra la cenere e la roba brillava»[7].

La ginestra

«Si andava all’annunziattella[8], si facevano i mazzetti di ginestra per poi metterli a bollire. Poi jiamu alla mintire alla jumara e Nasari[9] dopo la si calpestava con i piedi e diventava cumu a stuppa e si filava cu lu fusu e la cunocchia[10]. Così si tessevano i sacchi, si intrecciavano ‘e viartule[11] per gli asini»[12].

Le cimici

«Nei letti vi erano le cimici perché erano formati da tavole con i piedi stalli ed erano ricoperti di paglia. Si andava a raccogliere a paglia e jermanu e nd’inchiamu i saccuni a Menulata[13]Dopo è nato il DDT e sono tutte sparite»[14].

Formaggio

«Mia mamma faceva il formaggio e poi ne ‘mprestavamu u latte[15] per farne un po’ di più. Allora per ricordarsene si faceva una bacchetta di legnoe ogni mattina si faceva na ntacca (un segno) per quante mattine gli si dava il latte. Cumu tu rendia u cancellave da listicella[16]».[17]

‘A rota e Cuthruani

Alla veneranda età di cento anni nonna Letizia, con grande umiltà ed eleganza, si accinge a raccontare situazioni passate e fatti realmente accaduti. Tra i suoi ricordi riaffiorano alcune vicende inerenti alla “Rota e Cuthruani”, la ruota di Crotone. Cosa è stata questa cosiddetta ruota? A cosa serviva il suo utilizzo?

Ce lo racconta nonna Letizia: «A rota era na società chi chine un volia li fhigli jia e le portava là. C’è portavanu piccirilli, appena nati»[18]. È stato per giunta un modo per non uccidere il nascituro, rifiutato dai propri familiari. Attraverso questa pratica si andava a costituire una sorta di orfanotrofio a Crotone in cui i neonati venivano dati in affidamento ad altre famiglie.

Soprattutto: «un volianu vidute e chillu chi avianu fhattu e ci ‘nde su state parecchie»[19]. Era una pratica esercitata di nascosto in maniera tale da non far riconoscere chi fosse la madre, che con assoluta segretezza, poneva il bimbo al di sopra della ruota per poi dileguarsi.

A volte figli illegittimi, forse troppe bocche da sfamare, di certo per molti bambini la “ruota della fortuna” non è stata magnanima con loro, la speranza che potessero finire in braccia migliori  è stata l’unica soluzione.

Pietro Marchio


[1] Tracciava il solco.

[2] Recipiente in legno per contenere i fichi d’india.

[3] Testimonianza orale e in videoripresa di Anna Talarico, nata a Petronà, l’8/11/1940, realizzata da Pietro Marchio, il 12 settembre 2020.

[4] Con tale espressione si vuole indicare un’area riconosciuta come luogo di ritrovo per il lavaggio della roba.

[5] Ibidem.

[6] Panno in cui veniva riposta la cenere che serviva per fare il bucato (vucaturu) ceneracciolo recipiente per il bucato (vucataru) dal sostantivo Vucata: Bucato (dal dizionario di Jerhard Rohlfs).

[7] Ibidem.

[8] Area situata nei pressi della località “Curinello”.

[9] Poi si andava a riporla nelle acque del fiume Nasari.

[10] Strumenti per tessere la lana: in legno dalla forma allungata (entrambi sia “u fusu” che la “cunocchia”) dove veniva inserita la lana per poi filare e procedere alla lavorazione del tessuto.

[11] Bisaccio (Rohlfs), doppio sacco (ambo i lati). Dal latino Averta: bisaccio.

[12] Ibidem.

[13] La paglia di segale e si riempivano i sacchi a Manulata (località appartenente al Comune di Petronà).

[14] Ibidem.

[15] Fornire in prestito del latte.

[16] Ad ogni resa del latte veniva cancellata una linea, un segno.

[17] Ibidem.

[18] Testimonianza orale di Lezia De Franco, nata a Petronà, il 9 marzo 1920, realizzata da Pietro Marchio, il giorno 26 settembre 2020: «La ruota era una società nata per chi non accettava i propri figli (nati), li portava in quel posto. Li portavano molto piccoli, appena nati».

[19] Ce ne sono state parecchie (di donne che portavano i propri figli a Crotone), e non volevano esser viste (si era soggetti a vergogna).