“Fortuna Imperatrix Mundi” si canta nei Carmina Burana: la fortuna è la dominatrice del mondo, capace di dispensare morte o salvezza a seconda dell’estro del momento. In guerra poi è solare che se ci si salva c’è solo da ringraziare la Dea bendata. Ma chi riesce a sopravvivere a due disastri è da considerarsi più una persona fortunata perché ha salvato la pelle o sfortunata perché si trova sempre in mezzo ai guai? Oggi cercheremo di scoprire le vicende che portarono un giovane ingegnere giapponese a salvarsi dai due bombardamenti atomici, una storia che è diventato emblematica non solo per i suoi sviluppi rocamboleschi ma anche per il ruolo che il sopravvissuto avrà nella lotta agli armamenti nucleari.

Yamaguchi a Hiroshima: l’uomo sbagliato nel posto sbagliato.

Nel 1945 la guerra stava finalmente volgendo al termine. I primi giorni d’agosto, il “Patto d’Acciaio”, formato dai tre totalitarismi di destra più famosi e forti (la Germania Nazista di Hitler, l’Italia Fascista del Duce e il Nazionalista Impero Giapponese del Divino Imperatore Hirohito), era ormai un ricordo. Soltanto l’onore degli abitanti del Sol Levante resisteva agli attacchi degli Alleati. Ma mentre le nazioni sconfitte si leccavano le ferite, gli Stati Uniti, avendo perfezionato la Bomba Atomica, volle porre una pietra sopra, una volta per tutte, alla Seconda guerra Mondiale. Tsutomu Yamaguchi aveva 29 anni. Era un giovane ingegnere della Mitsubishi Heavy Industries. Si trovava nella città di Hiroshima come consulente per quanto riguardava la costruzione di una nuova petroliera. Il 6 agosto doveva essere, di fatto, il suo ultimo giorno nella città: ben presto avrebbe ripreso il treno e sarebbe tornato a casa, dove l’attendevano sua moglie Hisako e Katsutoshi, il figlio appena nato. Il destino di Tsutomu e la fine della Guerra si sarebbero uniti in quella calda mattinata del 6 agosto. Gli Stati Uniti avevano già preparato il letale ordigno e caricato (a fatica, visto il peso) sul bombardiere “Enola Gay” quella che avrebbe posto fine alle ostilità. La Bomba era stata ribattezzata “Little Boy”, proprio per scherzare sulle dimensioni e sulla sua portata. Il primo obiettivo dichiarato era proprio Hiroshima, l’orario le 8:15 antimeridiane. Quando “Little Boy” venne sganciato sui cieli della città, Tsutomu si trovava a circa 3 km dall’epicentro.  Era da poco sceso dal tram e si apprestava a fare gli ultimi sopralluoghi, quando “Il Sole cadde sulla Terra”, come in seguito verrà ricordato quel terribile mattino. Yamaguchi sentì il rumore di un aereo in avvicinamento, alzò la testa e vide che il velivolo sganciava un misterioso oggetto. Poi non vide più nulla: un bagliore accecante e un boato assordante presero il posto della città. Tsutomu venne sbalzato in un campo di patate alcuni metri rispetto a dove si trovava. Quando riaprì gli occhi, la sua vista era danneggiata e non riusciva a mettere a fuoco. Il suo corpo era ricoperto da grandi ferite (soprattutto sul fianco sinistro, rivolto verso l’epicentro) e le sue orecchie erano divenute inservibili, i suoi timpani distrutti. Rialzatosi a fatica, vagabondò per il cantiere, ritrovando due colleghi, anch’essi sopravvissuti all’esplosione. I tre decisero di passare tutta la serata (e la notte) in un rifugio antiaereo lì vicino. Yamaguchi non vedeva l’ora che arrivasse la mattina, per poter prendere il treno e tornare dalla sua famiglia. Arrivò l’alba del 7 agosto e Yamaguchi andò alla stazione. La città non esisteva più: Hiroshima era stata rasa al suolo da un’esplosione devastante. Sul treno incontrò altri sopravvissuti e assieme a loro scoprì quello che era successo. Infatti il Presidente Harry Truman aveva comunicato di aver fatto sganciare una bomba atomica. Incredibile, anche solo da sentire, figuriamoci da raccontare. Tornato a casa nella sua città natale Yamaguchi venne medicato e fasciato. Metodico e pignolo come sempre, si rimise subito a lavoro nonostante la giusta preoccupazione della moglie Hisako. Quando raccontò ai suoi colleghi ciò che aveva sentito e visto, in pochi gli credettero, molti pensarono che fosse un effetto del bombardamento o uno stato traumatico. Sapete dove abitava il nostro Tsutomu Yamaguchi con la sua famiglia? Tenetevi forte: la città si trova nel sud del Giappone, nell’arcipelago di Kyushu. Si chiama Nagasaki.

La bomba atomica contro Nagasaki

9 agosto 1945. Yamaguchi, tornato finalmente dalla sua famiglia, sta raccontando a colleghi e superiori come si era salvato a quell’ecatombe nucleare. Raccontò di quel bagliore terribile e di come Hiroshima, città brulicante di attività e di gente, in pochi secondi era stata trasformata in una radura di morte. Ovviamente bisogna dire che allora le comunicazioni viaggiavano molto più lentamente di quanto succede oggi: noi sappiamo in tempo reale quello che succede in ogni angolo del pianeta, cosa che nel 1945 non era così scontata. Forse per questo motivo coloro che stavano ascoltando il resoconto di Yamaguchi non gli diedero peso “si sarà inventato tutto a causa dello stress”, pensarono i colleghi. Intanto dalle prime luci del mattino le sirene intimavano agli abitanti che i cieli nipponici erano sorvolati da aerei americani. Uno di quelli che portava la seconda bomba atomica fece cadere dei volantini diretti ad un fisico nucleare giapponese, Ryokichi Sagane, il quale aveva studiato a Berkeley, nel quale si chiedeva al professore di dire alle autorità giapponesi che a breve sarebbe stata sganciata un altro ordigno, questa volta su Nagasaki. Nessuno credette opportuno portare questi dispacci alle alte sfere militari nipponiche, quindi dopo poco tempo il bombardiere americano fece calare la bomba, soprannominata “Fat Man” a causa della sua mole. La scarsa visibilità e la carenza di carburante fecero sbagliare ai bombardieri americani la posizione di sgancio: infatti la bomba non cadde sulla città vera e propria ma a 4 km di distanza, spazzando via con uno schiocco di dita un complesso di fabbriche belliche. Per Yamaguchi fu l’inizio di un secondo incubo, un brutto sogno reso ancora più terribile dalla morte della sua adorata moglie, deceduta a causa del Fallout nucleare.

Gli “Hibakusha”

Secondo lo scrittore giapponese Kenzaburo Oe, premio Nobel per la letteratura nel 1994, gli Hibakusha (letteralmente “coloro che sono stati colpiti dal bombardamento”) “sono quelle persone che non si sono tolte la vita malgrado ne avessero tutti i motivi per farlo. Sono loro che hanno salvato la dignità umana in mezzo alle più orribili condizioni mai sofferte dall’umanità”. La scelta del nome è da ricercare nella volontà di prevenire quanto più possibile sensi di colpa tra i sopravvissuti, che furono costretti ad assistere inermi alla morte di familiari e amici, ma anche per rispetto nei confronti dei defunti. La legge giapponese ha riconosciuto circa 650.000 Hibakusha, concedendo nel 1957 per tutte queste persone cure mediche gratuite. Nel 1970 con un’altra legge venne concesso agli Hibakusha Nippo-americani il diritto di risiedere in Giappone e di essere curati negli ospedali giapponesi. Oggi gli Hibakusha percepiscono una sorta di pensione in virtù del loro status, oltre che un trattamento specifico per ciò che riguarda la sfera sanitaria. Varie inchieste hanno messo in evidenza discriminazioni nei confronti degli Hibakusha e dei loro discendenti. È stato infatti dimostrato che molti Hibakusha hanno avuto grandi difficoltà nel contrarre matrimonio o addirittura a trovare un lavoro, a causa del timore che questi possano avere malattie ereditarie causate dal Fallout nucleare. Oggi fortunatamente questa discriminazione sembra definitivamente terminata e anzi gli Hibakusha vengono tenuti in gran conto soprattutto in occasione delle commemorazioni dei due olocausti nucleari. Nel memoriale della pace di Hiroshima e nel parco della pace di Nagasaki sono stati vergati sui rispettivi monumenti i nomi degli Hibakusha deceduti a partire dalle date dei bombardamenti, un numero che purtroppo con il passare del tempo cresce inesorabilmente.

I Niju Hibakusha

Vi sono alcuni sopravvissuti che addirittura hanno avuto la fortuna (o la sfortuna chissà) di scampare ad entrambi i disastri nucleari, un qualcosa che solo a pensarci mette i brividi alla schiena. Il regista giapponese Hidetaka Inazuka, autore del cortometraggio Twice Survived: The Doubly Atomic Bombing of Hiroshima and Nagasaki, ha affermato di aver riconosciuto almeno 165 Niju Hibakusha (non si può escludere che non ve ne siano stati degli altri). Ad oggi l’unico sopravvissuto due volte ai bombardamenti atomici è proprio Tsutomu Yamaguchi, ufficialmente riconosciuto dal governo giapponese nel marzo del 2009. A guerra finita e sull’onda delle proteste anti armamenti nucleari, Yamaguchi divenne uno dei più ascoltati e rispettati attivista contro le armi nucleari. A ottant’anni scrisse un’autobiografia dal titolo “Bombardato due volte”, allo scopo di illustrare la sua avventura e per protestare contro la miopia delle grandi nazioni, che non hanno imparato niente da questa storia. Yamaguchi amava dire della sua storia:” Il Destino ha voluto che io sopravvivessi a due bombe atomiche, non potevo far altro che andare tra la gente e raccontare la follia di chi ancora costruisce ordigni nucleari”. Tsutomu Yamaguchi divenne l’emblema della lotta al riarmo atomico, tanto da essere invitato persino alle Nazioni Unite dove pronunciò un bellissimo discorso contro le armi atomiche, appello che malgrado le tante prese di posizione di facciata non ha portato ancora ad un effettivo smantellamento delle armi nucleari. Yamaguchi si spense il 4 gennaio del 2010 a causa di un cancro allo stomaco alla veneranda età di 93 anni. Per concludere possiamo dire che la frase più rappresentativa del suo impegno sia questa:” La ragione per cui odio le bombe nucleari è perché ho visto cosa fanno alla dignità degli uomini”. Forse i grandi della Terra dovrebbero ascoltare le parole di un umile ingegnere, un uomo che ha avuto la sfortuna di vivere due volte questo dramma e che meglio di chiunque altro sapeva cosa poteva provocare un olocausto nucleare.    

Giovanni Trotta