Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la Calabria si trova da pochi decenni a far parte dello Stato italiano, vivendo una realtà di arretratezza economica, sanitaria e culturale. Se le istituzioni rimangono ferme o mettono in atto alcune soluzioni che non cambiano le sorti di questa terra e dei loro abitanti, alcuni individui illustri tentano di far fronte alle emergenze grazie al loro impegno.

Tra questi ricordiamo Umberto Zanotti Bianco, una delle figure ciclopiche per la Calabria e il Mezzogiorno d’Italia; egli, sicuramente visionario, è stato al fianco della “perduta gente”, cercando di risollevare i calabresi da condizioni miserevoli, non solo di arretratezza economica. Zanotti Bianco ha fatto del Sud Italia un laboratorio politico, culturale e sociale, col tentativo di porre la popolazione e il territorio a un livello alto di emancipazione. Di origini piemontesi, Umberto Zanotti Bianco nasce a Creta, in Grecia, nel 1889 da una famiglia di diplomatici al servizio dei Savoia. Giovanissimo, mostra subito interesse per il Sud Italia, tanto da recarsi nel 1908 a Reggio Calabria dopo il violento terremoto dello Stretto di Messina per prestare aiuto. Resosi conto delle condizioni di arretratezza in cui versa il Mezzogiorno italiano, nel 1910 Umberto Zanotti Bianco fonda insieme a Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti, Giovanni Malvezzi e Tommaso Scotti l’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (Animi), attiva ancora oggi. Nel 1920 fonda con Paolo Orsi la Società Magna Grecia per promuovere e finanziare gli scavi archeologici nel Sud Italia, tra cui quelli condotti nella piana di Sibari; Zanotti Bianco è convinto del fatto che le condizioni di arretratezza economica si superino anche con l’emancipazione culturale, contrastando la piaga dell’analfabetismo. Durante la dittatura fascista, egli è attivo in iniziative sociali e civili. Giunto per la prima volta ad Africo nel 1928 insieme a Manlio Rossi Doria, si innamora del luogo e degli abitanti, tanto da stabilirsi nel piccolo paese sperduto del Reggino, dando vita a iniziative importanti per denunciare le condizioni miserevoli del posto, sensibilizzando tutta Italia per un serio impegno a migliorare la situazione. Distribuisce infatti il pane di cicerchia nell’intera penisola per evidenziare la scarsa qualità di cibo a cui sono costretti i calabresi e scrive il saggio “Tra la perduta gente”. Malvisto dal regime fascista per le sue attività e per aver restituito la medaglia d’argento conquistata durante la Prima guerra mondiale e la medaglia d’oro di benemerito all’istruzione pubblica, Mussolini ordina il suo arresto nel 1941. Dopo il carcere è condannato al confino, prima a Paestum e poi a Sant’Aniello di Sorrento. Nell’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale ritorna a Roma ed entra nelle fila del Partito liberale italiano. È il fondatore della Croce Rossa Italiana e nel 1952 viene nominato senatore a vita. In Parlamento si impegna profusamente per il miglioramento delle condizioni dell’edilizia scolastica italiana. Umberto Zanotti Bianco muore a Roma il 28 agosto 1963.

In seguito all’Unità d’Italia, il Paese avanza a due velocità: il Nord Italia è sotto una forte spinta industriale che genera progresso e ricchezza, il Sud Italia è osservato speciale delle istituzioni, che, varando leggi di emergenza e non di sistema, tentano di modernizzare l’agricoltura. Da qui nasce la cosiddetta “Questione meridionale”, secondo cui gli intellettuali italiani si interrogano sulla condizione di arretratezza del Mezzogiorno d’Italia. Famoso è il volume “Il Mezzogiorno e lo Stato italiano” pubblicato nel 1911. Tra i più famosi pensatori della Questione meridionale si ricordano Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato. Salvemini ritiene che debbano essere i contadini protagonisti delle lotte per migliorare la loro condizione, mentre Fortunato sostiene che l’arretratezza del Sud Italia sia dovuta alla classe locale latifondista, definita parassitaria e immobile, che vede la terra come fonte di inesauribili ricchezze grazie allo sfruttamento del lavoro dei contadini. Nella situazione descritta, l’unica soluzione possibile per gli indigenti è l’emigrazione. In questo contesto si forma il pensiero di Umberto Zanotti Bianco, durante i suoi studi in giurisprudenza, in cui consegue la laurea, sotto l’influenza del docente Antonio Fogazzaro, giurista, scrittore e poeta. Zanotti Bianco matura un’azione sociale concreta e puntuale per il Mezzogiorno d’Italia già nel 1909, un anno prima della fondazione dell’Animi, quando pubblica insieme al suo amico Giovanni Malvezzi il saggio “L’Aspromonte occidentale”, in cui si mette in luce il fatto che non ci può essere sviluppo economico senza vie di comunicazione adeguate, infrastrutture, istruzione, strutture sanitarie decenti. L’Animi si attiva concretamente soprattutto nel Reggino. Essa promuove e finanzia l’Istituto Diagnostico di Reggio Calabria, nato nel 1920, specializzato nell’assistenza, diagnosi e prevenzione di malattie infettive e tumori. Si ricorda anche l’impegno dell’Animi verso Africo e Ferruzzano, due piccole realtà della provincia di Reggio Calabria, afflitte dalla malaria, dalla miseria, da un alto tasso di mortalità, dall’analfabetismo; ancora oggi Africo è nota alle cronache per essere un feudo inespugnabile di ‘Ndrangheta.    

Un’altra figura chiave dell’emancipazione calabrese è stata senz’altro Pietro Timpano, medico e stretto collaboratore di Umberto Zanotti Bianco e di Tiberio Evoli. Nato a Bova, in Reggio Calabria, nel 1876, viene istruito da due suoi zii sacerdoti. È tra i primi medici a correre in aiuto della popolazione dopo il sisma tra Reggio Calabria e Messina del 1908. Alla fondazione dell’Istituto Diagnostico di Reggio Calabria, viene nominato direttore, carica che mantiene dal 1920 al 1959, anno in cui lascia il timone in mano ai colleghi Demetrio Meduri e Piero Viola. Durante la sua gestione, i suoi detrattori lo accusano di una gestione personalistica della struttura, accuse che rimangono infondate. Conosciuto anche per la sua generosità, Pietro Timpano, con le sue donazioni, contribuisce alla realizzazione di scuole e di una biblioteca a Bova e di un intero padiglione all’interno dell’ospedale “Giuseppe Garibaldi” di Melito Porto Salvo, del cui nosocomio è stato amministratore, periodo nel quale la struttura sanitaria chiude gli anni di bilancio sempre in attivo. Per le sue attività di ricerca e contrasto alle malattie infettive, riceve varie medaglie d’argento da diversi enti istituzionali. Muore nel 1964 a Bova. Pietro Timpano è ricordato per il suo animo nobile e generoso e per un carattere schivo e riservato, lontano dal lodarsi dei suoi successi professionali.

Francesco Genovese è stato tra i medici calabresi quello più impegnato nella lotta alla malaria. Egli nasce a Caulonia, nel Reggino, nel 1871. Conduce gli studi di medicina e chirurgia a Napoli, laureandosi nel 1898, e si perfeziona in infettivologia sotto l’egida di Angelo Celli. Diventa poi medico condotto. Gli studi sulla malaria permettono a Genovese di giungere alla conclusione che la campagna di chinizzazione della popolazione debba essere accompagnata da una vasta opera di bonifica del territorio, azzerando le aree paludose e procedendo con il rimboschimento a monte. Questo progetto viene realizzato completamente, sotto la supervisione di Genovese, nella località di Ferruzzano grazie al contributo dell’Animi. Nel 1938 Francesco Genovese si ritira a vita privata e muore nel 1945. Di lui si ricorda l’amore immenso per il territorio calabrese.   

Altro personaggio dell’emancipazione calabrese è stato Tiberio Evoli. Egli nasce a Melito Porto Salvo nel 1872. Compie i suoi studi universitari tra Napoli e Firenze, diventando medico ginecologo. Cura i malati in condizioni pietose per la mancanza di strutture sanitarie adeguate, tanto da guadagnarsi il soprannome di “il medico in trincea”. Si impegna attivamente per la realizzazione dell’’ospedale “Giuseppe Garibaldi” a Melito Porto Salvo; l’ospedale viene inaugurato nel 1915 ed Evoli assume le cariche di direttore sanitario e primario di ginecologia. Come medico si prodiga anche nella cura della malaria e delle malattie oncologiche. Altra passione di Tiberio Evoli è la politica: nel 1919 viene eletto deputato nelle fila dei socialisti riformisti di Ivanoe Bonomi. Muore nel 1967.

Altro medico illustre nel panorama calabrese è stato Piero Viola. Egli nasce a Bova nel 1930 e consegue la laurea in medicina e chirurgia nel 1953 a Messina, dove inizia a lavorare in qualità di clinico sotto la guida di Filippo Romeo. Si specializza in cardiologia nel 1958 e intraprende la carriera accademica di docente universitario. Entrato in contrasto con le logiche baronali universitarie, Piero Viola lascia Messina nel 1959 e viene scelto come direttore da Pietro Timpano per l’Istituto Diagnostico di Reggio Calabria. Muore prematuramente nel 1966. Piero Viola è ricordato per la generosità verso i pazienti poveri e per la passione verso lo sport. Promotore della nascita dell’Associazione Italiana Circoli Sportivi (Aics) e grande sostenitore della pallacanestro, la squadra di basket di Reggio Calabria porta ancora oggi il suo nome.

Colui che ha affiancato Piero Viola alla guida dell’Istituto Diagnostico di Reggio Calabria è stato Demetrio Meduri. Demetrio Meduri nasce a Reggio Calabria nel 1929 e si laurea in medicina e chirurgia a Messina. Prosegue il suo percorso formativo tra Roma, Pavia e Cagliari, sotto la guida di illustri medici italiani, specializzandosi in malattie dell’apparato digerente. Spinto dai dirigenti dell’Animi, Meduri fa rientro in Calabria e accetta l’incarico di direttore dell’Istituto Diagnostico di Reggio Calabria. Finiti gli anni tragici della lotta alle malattie infettive, egli sposta l’attenzione sulla diagnostica e la terapia delle malattie gravi. Ottiene la pubblicazione di 65 articoli scientifici sulle riviste specializzate, scrive due monografie e un trattato sulle tecniche di diagnostica da laboratorio. Demetrio Meduri muore nel 2010. Di lui si ricordano la cura e l’attenzione mostrate verso la persona malata, che è sempre messa in primo piano sugli aspetti manageriali della sanità.

L’ultimo personaggio impegnato nei miglioramenti della condizione sanitaria per i calabresi di cui raccontiamo la storia è stato Francesco Maria Greco. Egli nasce ad Acri, località del Cosentino, nel 1857 da una famiglia agiata (il padre Raffaele Greco è farmacista, la madre Concetta Pancaro è figlia di un medico). Istruito in tenera età dallo zio sacerdote Luigi Pancaro, prosegue gli studi liceali a Napoli, allievo del presbitero e sociologo Vincenzo Padula, anche lui acrese. Tra il 1876 e il 1877 Francesco Maria Greco matura la scelta di intraprendere la carriera clericale. Acri, ai tempi del nostro sacerdote, è un territorio dove le persone vivono in condizioni di miseria, e le famiglie ricche sono circa una decina, che pensano solo ad arricchire i loro patrimoni e a mettere le mani sulle terre demaniali. Il clero invece è costituito per la maggior parte da persone disinteressate ai più bisognosi che pensano solo ai propri interessi. Francesco Maria Greco fonda ad Acri insieme alla monaca Maria Teresa De Vincenti, acrese anche lei, l’Istituto delle Piccole Operaie del Sacro Cuore, che si occupa dell’assistenza ai più disagiati e dell’istruzione dei bambini poveri. Attivo in campo sanitario, Greco è vicino ai bisognosi durante una grave epidemia di morbillo che colpisce Acri nel 1915 e assiste i malati durante la pandemia di spagnola tra il 1917 e il 1920. Ma l’azione più importante compiuta da Francesco Maria Greco per Acri, in collaborazione con l’amministrazione comunale, è la realizzazione dell’ospedale “Charitas”, nome scelto in onore alla carità predicata da San Francesco di Paola. Il nosocomio, aperto nel 1916 e inaugurato ufficialmente nel 1926, viene suddiviso in due aree: una per i poveri, le cui cure sono garantite finanziariamente dall’amministrazione comunale di Acri, e una per gli abbienti, in grado di pagarsi da soli le spese mediche. L’ospedale “Charitas” di Acri è specializzato negli interventi chirurgici e viene chiuso definitivamente nel 1976. Ad Acri, infatti, dopo lotte politiche intense, apre nel 1978 l’ospedale pubblico “Beato Angelo”, intitolato al frate acrese vissuto tra XVII e XVIII secolo d. C., compatrono della città, proclamato santo nel 2017 da papa Francesco. I detrattori di Francesco Maria Greco inviano costantemente lettere anonime al vescovo di Cosenza accusandolo di rapporti ambigui con le monache presenti nel convento di Acri; queste accuse non sono mai supportate da alcuna prova. Francesco Maria Greco muore ad Acri nel 1931. Viene proclamato beato nel 2016 dalla Chiesa Cattolica. Questo excursus, tratto dal saggio “La malaria in Calabria tra fine Ottocento e primo Novecento” del medico acrese Massimo Conocchia, vuole essere un doveroso tributo agli uomini che hanno speso la loro vita per fornire aiuto e garantire assistenza in un periodo difficile a persone malate e bisognose, in cui bisogna supplire a delle mancanze istituzionali gravi, e che hanno messo in campo tutte le loro forze e competenze negli ambiti professionale, scientifico, culturale, politico, sociale.

Nicola Manfredi